giovedì 24 dicembre 2015

DI COSA SI PUÒ AMMALARE UNA DEMOCRAZIA?

 
Platone



Sento lamentare tanti che la nostra civiltà è sofferente; che tutto va male e i governanti, invece di mettere a posto le cose, pensano solo ai loro interessi.
La domanda viene spontanea: cosa possiamo fare per cambiare la situazione e far guarire la nostra società? Credo che non esistono risposte semplici a queste domande, ma altre domande. Dobbiamo chiederci cosa ci hanno lasciato in eredità i nostri Padri, cioè coloro che hanno costruito la Repubblica e la Costituzione.
È indiscutibile che ci abbiano lasciato dei tesori da usare, custodire e proteggere. Ma dobbiamo anche chiederci, come li abbiamo custoditi e quale eredità, in proposito, lasceremo ai nostri figli.
Ci sono cittadine e cittadini impegnati ad apportare nuova linfa alla Democrazia; ce ne sono, anche, che vigilano sulla Costituzione; altri, nel loro piccolo, senza far chiasso, si impegnano a risolvere problemi collettivi. Ma si tratta di una piccola minoranza, la maggior parte di noi si occupa prevalentemente degli affari propri, apportando qualche miglioria solo al proprio benessere. Tutti però, quando si tratta di chiedere diritti, ci appelliamo tanto alla Democrazia quanto alla Costituzione.
Se Democrazia e Costituzione sono una ricchezza, ma molti consumano e pochi l’alimentano, quanto può durare?
Credo che queste siano alcune delle cause che indeboliscono la democrazia e di conseguenza la società. E non credo che i colpevoli siano solo i governanti, anche se loro hanno delle forti responsabilità. Credo che ogni cittadino, se soffre di questo malessere, dovrebbe chiedersi cosa ha fatto affinché la Democrazia non si ammalasse.

Per avere qualche indicazione su cosa dovremmo fare per far guarire la nostra civiltà, mi affido proprio a quei Padri che, direttamente o indirettamente, hanno costruito Democrazia e Costituzione.
Riguardo alla Democrazia, parto da lontano chiedendo lumi a Platone. Mentre per sapere cosa ne facciamo della Costituzione, mi affido a Piero Calamandrei, che era tra coloro che l’hanno fatta nascere.


Da: La Repubblica di Platone (360 a.c.)
Quando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola con la licenza, con l’aiuto di cattivi coppieri costretti a comprarsi l’immunità con dosi sempre massicce d’indulgenza verso ogni sorta di illegalità e di soperchieria; quando questa città si copre di fango accettando di farsi serva di uomini di fango per potere continuare a vivere e ad ingrassare nel fango; quando il padre si abbassa al livello del figlio e si mette, bamboleggiando, a copiarlo perché ha paura del figlio; quando il figlio si mette alla pari del padre e, lungi da rispettarlo, impara a disprezzarlo per la sua pavidità; quando il cittadino accetta che, di dovunque venga, chiunque gli capiti in casa, possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e ci è nato; quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da meravigliarsi che l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca l’anarchia e penetri nelle dimore private e perfino nelle stalle?
In un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte; in cui l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in cui tutto è concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici; in un ambiente siffatto, quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo?
Ecco, secondo me, come nascono le dittature. Esse hanno due madri.
Una è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia. L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi.
Allora la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice.
Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo”.

Tratto da: Discorso sulla Costituzione di Piero Calamandrei (1955)
La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica. È un po’ una malattia dei giovani l’indifferentismo.
«La politica è una brutta cosa. Che me n’importa della politica?». Quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà: di quei due emigranti, due contadini che traversano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda ad un marinaio: «Ma siamo in pericolo?» E questo dice: «Se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda». Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno. Dice: «Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare il bastimento affonda». Quello dice: «
Che me ne importa? Non è mica mio!». Questo è l’indifferentismo alla politica”.

Aver scambiato la Democrazia per licenza, lo Stato per una mucca da mungere, e la Carta costituzionale per un rotolo da gabinetto. Questo ci dicono Platone e Calamandrei. E queste, credo, siano le responsabilità di tanti governanti e di molti cittadini: aver infettato la Democrazia per ABUSO di se stessa, e maltrattata la Costituzione per l’IGNORANZA di esserne possessori.
                                                                                                    
         
                                                                                                 Francesco Corradino
 










 

sabato 16 maggio 2015

LIBERIAMO LA METÀ DI OGNI SPIAGGIA DA INSEDIAMENTI FISSI

                                                     
  LE SPIAGGE DOVREBBERO ESSERE DI TUTTI, 
O SOLO DI CHI PUÒ PAGARE?

Quando arriva la stagione balneare mi domando quali categorie di cittadini, nel nostro Paese, hanno diritto all’utilizzo delle spiagge.
Molte spiagge italiane sono occupate da eccessivi insediamenti balneari. È la conseguenza di troppe concessioni demaniali rilasciate a scopo di sfruttamento privato. Il risultato è che, soprattutto nelle zone più frequentate, sono quasi sparite le spiagge libere. Chi sono i responsabili di questo abuso?
Penso che i colpevoli non vadano cercati solo fra gli amministratori pubblici, ma fra noi cittadini, perché non ci siamo ribellati al lento perpetrarsi di questo “furto”.

Queste due foto (estate 2014) riprendono due tratti della stessa spiaggia; entrambe sono spiagge organizzate. Siamo nel Salento, Torre dell'Orso, comune di Melendugno (Lecce). Ma cosa hanno di differente, oltre gli spazi? La differenza è nella civiltà con la quale sono concepite le due gestioni.

Concessioni demaniali a sfruttamento intensivo
Concessioni limitate, spiagge ruspanti




















Scrivo questo articolo, non per una critica negativa al Comune di Melendugno, ma per un elogio ad un civile utilizzo di una piccola parte delle sue spiagge.
Nelle concessioni demaniali senza limiti, tutta l'area era un deposito di oggetti allineati come un esercito in attesa di sferrare un attacco al nemico. Ogni spazio di quel tratto di spiaggia era occupato da qualcosa: edifici provvisori o stanziali, capanni, ombrelloni, lettini, sdraio ecc. Non un metro quadro di spazio senza oggetti. In una di queste gestioni, un tratto di mare vicino la riva e parte della battigia erano invasi da un gruppo di persone che ballava al ritmo di un fastidioso rumore emesso da un enorme subwoofer. Il suono, più che a della musica, somigliava ad un cannone che sparava come una mitraglia. Il gruppo di bagnanti si muoveva simultaneamente, imitando un animatore dello stabilimento che per mezzo di altoparlanti (anch'essi invasori della spiaggia), li incitava alla danza. Per transitare in quella parte di spiaggia bisognava necessariamente farsi spazio fra gli improvvisati “ballerini”.
Un altro tratto della stessa spiaggia, anch'essa in gestione, che  per la semplicità d’organizzazione chiamo ruspante, era organizzata in modo, permettetemi di definirlo, civile. Chi voleva un ombrellone, una sdraio o un lettino, lo poteva affittare, anche per tutta la giornata, ad un prezzo ragionevole. La sera, però, quando tutti i bagnanti andavano via il personale della gestione ripuliva la spiaggia da qualunque oggetto, lasciandola fruibile e, sottolineo, libera a chiunque per l'indomani. 

Concessione limitata alla fornitura temporanea di sedie e ombrelloni, ma con servizio di salvataggio e pulizia spiaggia.

Trovare al mattino una spiaggia completamente pulita e libera non è un sogno ma “antica” realtà: in quel tratto di spiaggia di Torre dell'Orso, grazie ad una futuristica (anche se antica) concessione, ognuno può mettere l'ombrellone nel punto che desidera, sia che lo porti da casa o che lo affitti dal gestore, ma quando il bagnante va via il gestore ritira i suoi ombrelloni e quel posto rimane fruibile da altri. Questo si può definire equo utilizzo di un bene comune!
Una cosa non mi è chiara però, un'ordinanza del comune di Melendugno, affissa in spiaggia, in alcuni dei suoi 15 punti recita: "VIETATO occupare la spiaggia a cinque metri dalla battigia [...]; VIETATO praticare qualsiasi gioco, sia a terra che in acqua, che possa arrecare pericolo, disturbo, molestia ad altri [...]; VIETATO tenere ad alto volume juke-box, apparecchi di diffusione sonora […]" ecc. Non mi è chiaro se quest'ordinanza riguarda soltanto le spiagge libere o parzialmente libere, mentre in quelle occupate da concessioni fisse si può fare ciò che si vuole?
Nella mia visione dei beni comuni c'è un'altra cosa che non riesco a capire: il gestore di quel tratto di spiaggia ruspante mi disse che non riesce ad ottenere dal Comune il permesso per istallare dei servizi. Mi chiedo quale “civile” amministrazione di un bene pubblico, impedisce al gestore di una spiaggia organizzata ma libera di ottenere il permesso per istallare dei servizi ? Forse che, alla scadenza, questa equa concessione non verrà più rinnovata e anche questo spazio, già ridottissimo, verrà destinato allo sfruttamento intensivo a favore solo di chi può riservarsi un posto in spiaggia per tutta l’estate; in certi casi utilizzandolo solo pochi giorni in tutta la stagione balneare.
La mia, ripeto, non vuole essere una critica all'amministrazione di Melendugno e alla spiaggia di Torre dell'Orso: situazioni molto vergognose ne ho viste in quasi tutto il litorale italiano; il mio vuole essere un elogio a tutti i Comuni che hanno già iniziato ad adottare un utilizzo più equo delle spiagge; ma è anche un grido di protesta per tutte le spiagge usurpate al popolo che non può pagare.

Chiediamo insieme che almeno la metà di ogni spiaggia, in tutto il territorio italiano, venga liberata da insediamenti fissi, o sia destinata ad una gestione come quella di Torre dell’Orso.
In questo modo, qualsiasi cittadino avrebbe la possibilità di godere di un bene che madre natura ha dato all'umanità intera, non soltanto a chi ha già il privilegio del benessere economico.
Mi sembra equa la proposta di lasciare la metà di tutte le spiagge del Paese a coloro che sono contenti di vedere dal loro lettino, al posto del mare lo schienale della sdraio che hanno davanti e al posto del cielo il colore dell'ombrellone che li ospita; non biasimiamo chi ha questo bisogno, ma vorremmo ( mi faccio portavoce di tanti) che almeno l'altra metà delle spiagge venga restituita a tutti.

mercoledì 17 dicembre 2014

OMAGGIO AI SOGNATORI

           
 GOCCE DI MATERIA e FRAMMENTI DI TEMPO

Per realizzare sogni e idee a volte
basta avere progetti e denaro.
Quando non c'è denaro, ma soltanto
idee e sogni, essi nascono e nell'istante
successivo possono morire.

Ma i veri sognatori non si arrendono
facilmente alla morte dei loro sogni:
con pazienza mettono insieme
gocce di materia strappate all'universo
e frammenti di tempo presi dall'eternità
e fanno germogliare sogni e idee.

Il resto dell'umanità chiama questi
sognatori utopisti.
Ma è proprio dall'opera dei sognatori
di ieri che oggi molti esseri umani
traggono beneficio”.
                                                   F. C.     
                                                                                              

venerdì 20 giugno 2014

La legge DEVE ESSERE uguale per tutti!


 Questa lettera ( personalizzata per ogni destinatario) è stata inviata

Al sig. Presidente della REPUBBLICA ITALIANA [ROMA]
Al sig. Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura [ROMA]
Al sig. Presidente della Suprema Corte Costituzionale [ROMA]
Al sig. Presidente del Consiglio dei Ministri [ROMA]
Al sig. MINISTRO DELLA GIUSTIZIA [ROMA]
Al sig. Presidente del Senato della Repubblica [ROMA]
Al sig. Presidente della Camera della Repubblica [ROMA]
E p.c. ad alcuni mezzi di informazione.


    Raccolgo adesioni, per chiedere che venga sostituita la scritta “La legge è uguale per tutti”, che sovrasta gli scranni delle aule di giustizia, con un'altra scritta priva di falsità e d'ipocrisia:
La legge deve essere uguale per tutti!

    L'articolo 3 della Costituzione, nel primo comma, dice che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge. I Padri costituenti non potevano usare parole più sagge. Ma nell'applicazione, l'articolo tre viene rispettato?
È dimostrabile che tutti i cittadini non possono ricevere pari dignità dalle istituzioni se l'applicazione della legge non è uguale per tutti.
    Una quarantina di anni fa, nel dialetto del mio paese natale, sentivo pronunciare questo detto popolare: “ Cu avi sordi e amicizia sinni futti da giustizia!”. I detti popolari difficilmente contengono falsità. Spesso chi aveva amici influenti e danaro a sufficienza, riusciva a sfuggire alle maglie della giustizia.
    Dopo quarant'anni mi sembra che non sia cambiato niente. Oggi che vivo in una grande città la stessa frase la sento pronunciare in italiano, ma il senso non è cambiato: “La giustizia non è uguale per tutti!
Forse tale convinzione scaturisce dalla sensazione che abbiamo noi cittadini a seguito della troppa “indulgenza” che la giustizia ha verso alcuni potentati che hanno conoscenze in politica o in “paradiso”.
Quale idea si fa della giustizia un cittadino, che crede di vivere in una società del diritto e del dovere, quando si accorge che l'applicazione della legge è uguale solo per tutti i più deboli economicamente?
    Nel 1794 il giurista, illuminista, Cesare Beccaria pubblicava il trattato dal titoloDei delitti e delle pene” nel quale definiva qualunque reato “...un danno alla società, e quindi all'utilità comune.
Perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino”,la condanna, raccomandava Beccaria,“dev'essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata ai delitti, dettata dalle leggi”.
    Negli anni successivi la pubblicazione, il saggio di Beccaria influenzò filosofi, giuristi e pensatori in tutta Europa. Al pensiero di Beccaria, allora, si unì l'azione dell'Accademia dei Pugni, e ad esso si ispirarono illuministi come Voltaire e Diderot, e uomini di stato di diversi paesi. Persino la Zarina Caterina di Russia ne adottò apertamente il principio. Mentre, oltre oceano, i Padri fondatori degli Stati Uniti d'America, definendo il lavoro di Beccaria un autentico capolavoro, ne presero spunto per le leggi costituzionali statunitensi.
    Ma cosa succede nel nostro Paese, patria di Cesare Beccaria?
Possiamo dire, ed è comune convinzione, che le cose non siano andate in quel verso. In barba ai consigli di Beccaria, capita che da un lato ai più deboli, per pochi tributi non pagati, si pignorano case o beni persino di attività produttive; mentre sull'altro fronte, alla “casta” per gravi reati, vengono comminate condanne irrisorie.
    Due documentati casi, opposti, come esempio: un ragazzo, a Torino, dopo essersi licenziato perché non riceveva lo stipendio da sei mesi, denuncia alla magistratura il fatto. Al processo il datore di lavoro viene condannato, ma non avendo alcun bene intestato alla sua persona, non paga né il lavoratore e nemmeno le spese processuali. Qui per il giovane lavoratore interviene la “giustizia”: oltre il danno la beffa, lo Stato chiede al lavoratore già danneggiato le spese processuali.
    In un caso opposto, nella casta, ad un politico condannato per evasione fiscale di svariati milioni di euro, viene “inflitta” una pena ridicola: quattro ore settimanali di assegnazione ai servizi sociali per un anno. A questo evasore, che come diceva Beccaria ha arrecato un danno alla società, e quindi all'utilità comune, viene data da scontare una pena più adatta ad un adolescente che ha commesso una grave bravata.
    Mi chiedo: quanti cittadini sarebbero disposti a imitare il ragazzo di Torino e quanti invece pronti a frodare lo Stato di qualche milione di euro, sapendo di dover pagare con quattro ore di assegnazione ai servizi sociali?
    Sono due casi soltanto esemplificativi, ma, purtroppo, di corrotti e corruttori, che piegano le leggi dello Stato usando la politica, nel nostro Paese se ne possono elencare a migliaia.
Mi sembra evidente che di fronte a questa realtà troppo diffusa, qualsiasi cittadino che abbia un minimo senso dello Stato possa pensare che la legge non è uguale per tutti. E chiunque, purtroppo, può perdere fiducia nelle istituzioni.

    Beccaria raccomandava di non far durare troppo i processi, per non rallentare il corso della giustizia, per non dare la sensazione di una giustizia impotente; raccomandava anche di non trasformare i processi in spettacolo. Ma cosa avviene nelle nostre istituzioni? Per onorare le raccomandazioni di Beccaria, avviene che un politico, imputato, già condannato per altri reati, abbia facoltà di farsi difendere da un avvocato da lui stesso messo nelle liste elettorali e portato in parlamento. Per fare cosa, se non spettacolarizzare i suoi processi e manipolare il legittimo impedimento in tutte le salse possibili?
Piccola nota (si fa per dire, piccola): l'avvocato in questione, “Onorevole” è secondo tra gli assenteisti in parlamento, circa 95% di assenze, ma primo in classifica per inefficienza parlamentare. Alla faccia del conflitto di interesse! Ma che Paese stiamo costruendo?
    La domanda viene spontanea: sono i giudici che non sono capaci di assicurare una giustizia uguale per tutti, o è la politica che non dà ai giudici i mezzi per amministrarla? E chi governa il Paese, lo fa secondo i criteri di quell'equità che detta la Costituzione o lo fa secondo gli interessi personali di alcuni parlamentari corrotti o corruttori?
    Mi sembra chiaro che scardinando il sistema giudiziario, alla “casta” e a certi politici, è stato più facile piegare la legge e la giustizia a loro uso e consumo. Tanto, alla fine, chi paga tutte le inefficienze dello Stato è sempre l'anello più debole del sistema. Non ci si meravigli se i ragazzi crescono con l'idea che frodare lo Stato può essere più conveniente e sicuro di un lavoro.

    Ho avuto la fortuna di frequentare per un periodo i palazzi di giustizia. Per fortuna non da imputato ma da giudice popolare. In quell'esperienza ho acquisito la consapevolezza di quanta fatica facciano molti giudici nel cercar di applicare le leggi o farle rispettare.
Spesso molti avvocati usano i cavilli giudiziari come strumento di difesa, allungando i tempi del processo fino a farli giungere in prescrizione. Mi è capitato persino di essere chiamato in riunione alle nove di sera, per evitare che un mafioso venisse scarcerato per decorrenza dei termini. Se il giudice titolare non fosse stato attento, quel malvivente sarebbe stato scarcerato allo scadere della mezzanotte.
Povero Cesare Beccaria! Siamo il paese dove un processo non si può celebrare perché l'avvocato dell'imputato, (“onorevole”), quasi sempre assente , quel giorno (combinazione) è in parlamento a fare un illegittimo impedimento.
    Ma siamo anche il Paese dove ad un ragazzo che ha appena debuttato nel mondo del lavoro e perde sei tra i primi nove stipendi, lo Stato chiede il pagamento delle spese processuali. Che Bel Paese è questo?
    Però un punto converge con le raccomandazioni di Beccaria e di tanti altri ispiratori di giusta giustizia e necessaria moralità: abbiamo fatto scrivere nelle aule di tutti i tribunali che La legge è uguale per tutti. Ironicamente, vorrei che si aggiungesse: per tutti coloro che non hanno soldi e amicizie...
    Ma la mia non vuole essere ironia; voglio soltanto chiedere una piccola modifica alla falsa, quanto imperiosa frase, La legge è uguale per tutti, facendola diventare:
La legge deve essere uguale per tutti!

    Chi ritiene che le mie non sono soltanto fantasie e che l'articolo 3 della Costituzione non viene rispettato, può dar voce a questa iniziativa che mi è stata ispirata o “suggerita” da Cesare Beccaria, Pietro Verri, Giuseppe Mazzini, Benedetto Croce, Alcide De Gasperi, Piero Calamandrei, Ferruccio Parri e tanti altri cittadini possessori di un “istinto morale”.


                                                                                             Francesco Corradino 

                              http://francescocorradino.blogspot.it/




venerdì 7 febbraio 2014

GENTE che CONTA

                   
                ARIA, TERRA, ACQUA, FUOCO
                           Sono quattro gli elementi,
                      “radici” immutabili dell'universo.

            MATTEO, MARCO, LUCA, GIOVANNI.
                Sono quattro i vangeli scelti dai cristiani,
                    per raccontare l'opera di Gesù Cristo.
           

                      TRAMONTANA, OSTRO, LEVANTE, PONENTE.
                                              Quattro sono i venti principali 
                                         che spingono per i mari le vele ai marinai.

                                EST, OVEST, NORD, SUD.
                Quattro i punti cardinali che orientano il cammino.

                                    Uno, due, tre, quattro...
             Sono quattro le stagioni e dell'aritmetica le operazioni;
                      quattro gli occhi che vedono più di due;
                quattro le giornate di Napoli, per l'Italia liberata.

                                     QUATTRO! ALMENO QUATTRO!
      Sono i numeri che dovremmo scandire nella mente prima di parlare.

                  Quattro preziosi secondi, che ci fanno diventare
                                   GENTE, CHE SA CONTARE.

                                                                                                F.C.

lunedì 29 aprile 2013

UNA PATENTE PER VOTARE


 
Una Patente per votare?


Affiderei ad un costruttore principiante la realizzazione della mia casa, o mi preoccuperei di affidarla ad un costruttore che abbia una buona esperienza?
Se fossi ricoverato in un ospedale per una grave malattia e dovessero operarmi, vorrei che a fare l'intervento fosse un medico appena laureato che sta facendo tirocinio, o vorrei che lo facesse un chirurgo esperto, possibilmente con una lunga carriera ?
Le risposte sono talmente ovvie che mi sembra inutile dilungarmi.
Invece faccio una domanda a tutti coloro che, in questo momento storico della politica nel nostro Paese, vorrebbero risolvere i problemi mandando a riposo tutti i costruttori esperti e tutti i chirurghi con lunga carriera; indifferentemente che siano bravi o incapaci, onesti o corrotti, per affidare il futuro, già incerto, a dei principianti che dovrebbero essere più capaci.
La domanda:
se la Democrazia, malata, potesse scegliere da chi farsi curare, pensate che sceglierebbe dei principianti chirurghi per farsi operare su un organo del proprio corpo e poi degli apprendisti costruttori per riedificarsi?
Dalle risposte che mi sono dato, è nata una riflessione sull'origine della “malattia” della nostra democrazia.
La sorte del nostro futuro politico è affidata ai cittadini votanti. Sono loro che decidono chi deve curare il malato: lo dice la Costituzione.
Una parte di questi cittadini, quelli che non hanno un'idea precisa per il futuro del paese, scelgono volta per volta chirurgo e costruttore, spesso per un immediato tornaconto personale.
Secondo me, il problema nasce perché troppi cittadini non hanno una chiara cognizione di cosa è un Parlamento, di come si emana una legge o un decreto legge; non hanno conoscenza sulle funzioni dei vari organi che il costituente ha messo a salvaguardia della Democrazia.
Chi affida la costruzione della propria casa o un'operazione sul proprio corpo a dei principianti, senza la guida di un maestro, che futuro sceglie?
Ma allora, potrebbe chiedermi qualcuno, dove sta la soluzione?
Per costruire e mantenere sana una Democrazia, ci vogliono dei maestri che ne conoscono l'arte e degli allievi in grado di rubargliela, con l'ambizione e l'obiettivo di sostituirli in futuro.
La cosa più grave, a mio giudizio, è che la maggior parte dei cittadini non conosce la Costituzione: non l'ha mai letta almeno una volta e non ne conosce il fine, se non di qualche articolo, magari per sentito dire.
Tra questi ci sono anche persone con un alto grado di scolarizzazione: ottimi professionisti oltre che brave persone, ma pessimi cittadini.
Mi impensieriscono molto coloro che, pur conoscendo la Costituzione, remano contro; ma quelli che più mi preoccupano, per la sorte del nostro futuro, sono coloro che cercano il Pifferaio magico che risolva i problemi complessi di una società complicata come la nostra, ancora lontana dall'aspirare a diventare Civiltà.
 Sarebbe, forse, necessaria una PATENTE per votare?
                                                                                     Francesco Corradino

domenica 16 dicembre 2012

I DIRITTI DELL'UOMO e I DOVERI DEL CITTADINO



                I DIRITTI DELL'UOMO e I DOVERI DEL CITTADINO
                                    UN AUGURIO di BUONE FESTE

     Non riesco ad immergermi, come la maggior parte delle persone fa, in questo clima di festa religiosa in apparenza, ma spudoratamente molto commerciale nella sostanza.
Tutti, però, vorremmo far rinascere un Gesù Cristo che ci aiuti a risolvere i problemi: quelli dell'umanità intera e quelli nostri personali.
Il mio augurio è che Insieme a Gesù Cristo, vorrei che rinascesse la stima verso coloro che in nome di Cristo, o nello spirito di una civile convivenza fra gli uomini, hanno speso tutta o parte della loro esistenza perché questo si avverasse nei fatti e non solo nell'auspicio.
Spero che Mazzini mi perdoni per aver disturbato il suo sonno. Ma il suo pensiero è così attuale che mi nasce spontaneo il desiderio di farlo rivivere.
Le sue parole di un secolo e mezzo fa, scritte sotto forma di lettera, erano dirette ad un popolo che ancora non aveva una Patria unita in una Repubblica: un suo sogno, costatogli anni di prigione ed esilio.
Mi fa soffrire pensare che dopo 150 anni, alla Patria Italia manchi ancora l'anima come diceva Mazzini: lo spirito dei Doveri.
Quello che segue è solo un piccolo sunto della sua lettera al popolo, alla vigilia dell'unificazione, ma è sufficiente ad esprimere il suo pensiero sull'effetto benefico che il rispetto dei doveri produce per aver diritto ai diritti.

                                                    I DOVERI DELL'UOMO
L'avvenire, della Patria è vostro” così scriveva Giuseppe Mazzini, il 23 Aprile del 1860, “voi non lo fonderete se non liberandovi da due piaghe che oggi purtroppo, spero per breve tempo, contaminano le classi più agiate e minacciano di sviare il progresso Italiano: il Macchiavellismo e il Materialismo. Il primo, travestimento meschino della scienza d'un Grande infelice, v'allontana dall'amore e dall'adorazione schietta e lealmente audace della Verità; il secondo vi trascina inevitabilmente, con il culto degli interessi, all'egoismo ed all'anarchia...”

Oggi il Macchiavellismo lo applichiamo cercando l'uomo “forte” al posto del “giusto”, che ci risolva, oltre ai problemi della nazione, anche i problemi personali, mentre il Materialismo lo pratichiamo nel consumismo insostenibile che manda in crisi la società quando non può più consumare.

...La mia voce può apparirvi severa e troppo insistente a insegnarvi la necessità del sacrificio e della virtù per altrui. Ma io so, e voi, buoni e non guasti da una falsa scienza o dalla ricchezza, intenderete fra breve, che ogni vostro diritto non può essere frutto che d'un dovere compiuto. Io voglio parlarvi dei vostri doveri...”

La lettera era principalmente rivolta ai lavoratori e ai poveri. Li esortava prima ai doveri verso Dio, verso l'umanità, verso la Patria, verso la Famiglia; per costruire una civiltà dove Dio, l'Umanità, la Patria, la Famiglia, ognuno l'abbia dentro Se stesso, ognuno deve essere “coscienza” dell'umanità.

...Perché vi parlo io dei vostri doveri prima di parlarvi dei vostri diritti? Perché, in una società dove tutti, volontariamente o involontariamente, v'opprimono, dove l'esercizio di tutti i diritti che appartengono all'uomo vi é costantemente rapito, dove tutte le infelicità sono per voi, e ciò che si chiama felicità é per gli uomini dell'altre classi, vi parlo io di sacrificio, e non di conquista, di virtù, di miglioramento morale, di educazione, e non di benessere materiale?
Siamo poveri, schiavi, infelici: parlateci di miglioramenti materiali, di libertà, di felicità. Diteci se siamo condannati a sempre soffrire o se dobbiamo alla nostra volta godere. Predicate il Dovere ai nostri padroni, alle classi che ci stanno sopra e che trattando noi come macchine, fanno monopolio dei beni che spettano a tutti. A noi, parlate di diritti
: parlate dei modi di rivendicarceli; parlate della nostra potenza. Lasciate che abbiamo esistenza riconosciuta; ci parlerete allora di doveri e di sacrificio...
Ciascun uomo prese cura dei propri diritti e del miglioramento della propria condizione senza cercare di provvedere all'altrui; e quando i propri diritti si trovarono in urto con quelli degli altri, fu guerra: guerra non di sangue, ma d'oro e d'insidie: guerra meno virile dell'altra, ma egualmente rovinosa: guerra accanita nella quale i forti schiacciano inesorabilmente i deboli o gl'inesperti. In questa guerra continua, gli uomini si educarono all'egoismo, e all'avidità dei beni materiali esclusivamente...
...Dopo avergli parlato per anni in nome degli interessi materiali, pretenderete ch'egli, trovando davanti a sé ricchezza e potenza, non stenda la mano ad afferrarle, anche a scapito de' suoi fratelli?.
E chi può, anche in una società costituita su basi più giuste che non le attuali, convincere un uomo fondato unicamente sulla teoria dei diritti, ch'egli ha da mantenersi sulla via comune e occuparsi di dare sviluppo al pensiero sociale? Ponete ch'ei si ribelli; ponete ch'egli si senta forte e vi dica: rompo il patto sociale: le mie tendenze, le mie facoltà mi chiamano altrove: ho diritto sacro, inviolabile, di svilupparle, e mi pongo in guerra contro tutti: quale risposta potrete voi dargli stando alla sua dottrina? che diritto avete voi, perché siete maggiorità, d'imporgli ubbidienza e lacci che non s'accordano con i suoi desideri, colle sue aspirazioni individuali? che diritto avete voi di punirlo quando lui le vìola? ...chiamati a godere e non altro, tentarono ognuno la propria via, non badando se camminando su quella non calpestassero le teste dei loro fratelli, fratelli di nome e nemici di fatto...”

Mazzini esorta a cercare Dio, la Patria, la Famiglia e l'Umanità dentro ogni individuo, per metterli in collaborazione con altri uomini per diventare gruppi, che diventano popoli, che diventano società e poi Civiltà.
l'Umanità conquista via via una nozione più chiara della propria vita, della propria missione, di Dio e della sua legge”.

Penso che Mazzini non si disturbi: sarebbe felice nell'apprendere che, grazie all'impegno di alcuni seguaci del suo pensiero e di quello di altri come lui, si è realizzato il suo sogno di Repubblica. Sarebbe, però, amareggiato nell'apprendere che nel 2012 ancora la maggior parte dei cittadini della Repubblica arraffano e difendono tutto quello che hanno, con qualsiasi mezzo, anche se ciò di cui si sono impossessati non gli spettava né per diritto acquisito e nemmeno perché se lo siano guadagnati lecitamente.

Mazzini pensando che la morte (non naturale) lo avrebbe potuto cogliere in qualsiasi istante, per mano di chi non voleva che nascesse la Repubblica, ma con il consenso di chi non voleva perdere nulla di quello che aveva guadagnato o arraffato con la monarchia, mentre era esule politico in Inghilterra, scriveva agli italiani questa lettera (circa quaranta pagine) firmandola così: Addio. Abbiatemi ora e sempre vostro fratello! Lettera nella quale esortava i cittadini ad adempiere i Doveri prima di pretendere i Diritti.

In queste “vigilie” di ricorrenze importanti, voglio augurare a tutti di poter fruire dei propri diritti. Aggiungo: Buone Feste!

                                                                                                           Francesco Corradino