MUSEO DI CARTA, lettura e audiolibro


 
 

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 Museo di Carta, AUDIOLIBRO
 
 MUSEO DI CARTA
Versione cartacea,
codice ISBN: 979 86 75 54 221
 
 
 
 
"Sono storie realistiche e storie fantastiche, favole, racconti, parabole. Creazioni di un mondo immaginifico e ironico, senza dubbio adatte a tenere desta l'attenzione del lettore".
Questo dice Sellerio Editore di questi racconti.

“Molti alberi solitari da sempre hanno suscitato nell’uomo un particolare fascino; un senso di rispetto e di ammirazione sia per la longevità che per la loro capacità di resistere agli strali del tempo. Tanto è vero che molti artisti, soprattutto poeti e pittori, li hanno raffigurati nella loro arte come esseri speciali”. 

 

 Dopo l’applauso, quando l’attore si spoglia dei vestiti del comico e si veste della fragilità dell'uomo, una parte di quella tristezza, che tu spettatore pagante pensi sia morta e lasciata in platea, invece riprende vita e sale sul palcoscenico per cercare il suo assassino”. 

 

 

 

Francesco Corradino

   IL MONACO MENDICANTE 

Tra le bancarelle di un mercato rionale, nel cuore della Sicilia, si aggirava un anziano frate con una borsa di stoffa nera in una mano e un bastone nell'altra. La lunga barba bianca gli si appoggiava sulla pettorina di una vetusta tunica, un po’ troppo pesante per il clima tiepido di quel mese estivo. Era come se quell'abito avesse un’imbottitura spropositata. La stoffa aveva perso il colore originale: sbiadita dove era più esposta ai raggi del sole, più scura nelle zone in cui la luce diretta batteva meno. Il frate, senza alcun simbolo religioso addosso oltre la tunica francescana, si muoveva dondolandosi e mandando in avanscoperta l’abbondante ventre. Di tanto in tanto si appoggiava, senza averne necessità, al bastone ricavato dall'asta di un parapioggia che, per avere più solidità o per camuffarne l’origine, era avvolto con molti giri di nastro di plastica nero.

Il frate, dallo sguardo tra il curioso e l’enigmatico, nell'atteggiamento sembrava distratto: guardava la merce delle bancarelle senza interesse. Era come se lo sguardo andasse oltre, portandosi con sé anche il pensiero.

Si fermò in un piccolo spazio vuoto tra due bancarelle dove un gruppo di persone stava discutendo. Due di loro erano sicuramente Testimoni di Geova. Sostavano ai lati di un espositore carico di locandine da indottrinamento in alcune delle quali il titolo metteva sull'avviso di una possibilità di salvezza dalle fiamme dell’inferno. Le altre persone probabilmente erano dei passanti agganciati dai Testimoni.

«Brava gente! Grazie mille e mille grazie», disse il frate. «Un euro a testa per il regno del Paradiso». Poi cercò di perorare l’azione benefica dell’elemosina, puntando sulla necessità d’investire sulla salvezza dell’anima.

«Non è con il denaro che si conquista il regno dei cieli, tanto meno la salvezza dello spirito, ma diventando Fratello», gli rispose Uno dei Testimoni.

Dall'espressione e da alcuni mugugni si poteva comprendere che il frate, come si dice nel gergo giovanile, era stato sgamato. Quell'attività sembrava (almeno in quell'occasione) prevalentemente di mendicità. Quando il frate comprese di essere stato sconfitto nell'approccio con i Fratelli, cercò terreno fertile altrove.

Dopo aver visitato altre bancarelle si avvicinò ad un gruppetto di persone, due uomini e due donne, che dopo il giro del mercato si stavano allontanando con le buste della spesa in mano. Il frate, che probabilmente li aveva già adocchiati prima, li seguì accelerando il passo fino a pararglisi davanti ed esordì con la stessa frase: «Brava gente! Grazie mille e mille grazie. Un euro a testa per il regno del Paradiso».

«Che pretese!» disse una delle donne, la più giovane.

«Oh! Queste donne! Queste donne!» esclamo il frate.  E poi, con evidente ghigno interpretabile come “Questi me li lavoro con calma”, continuò: «Tirate fuori un euro per salvarvi l’anima!»

«Ma chi mi dice che lei è veramente un frate?» disse l’altra donna. «Non ha segni d’appartenenza ad alcuna religione e un saio lo potrebbe indossare chiunque.»

«Già! hai ragione», l’assecondò la donna giovane. «Chi ci dice che sotto quel vestito non ci sia un uomo che mendica per professione?»

Il frate, un pochino risentito da quella supposizione, farfugliò a bassa voce: «Una annaca a testa e l’atra, comu ‘n’oca, ripete quello che dice l’amica.»

«Certo che, come dice la mia amica, ammesso che lei sia un vero frate, ha proprio delle belle pretese», si difese la donna paragonata dal frate a un’oca, ma senza dar segno di essersi offesa. 

Uno dei due maschi, che rideva sornione, al momento opportuno entrò nella discussione.

«Le darò un euro per ogni risposta giusta che darà ad alcune domande che vorrei farle.»

Il frate, sorpreso dalla proposta dell’uomo, contrattaccò: «Ho l’impressione che abbiate le tasche ben chiuse e che non scucirete un euro nemmeno se vi spremessi con un torchio. In ogni caso, proviamo con queste domande, ma le risposte vi costano un supplemento: due euro.»

«Le domande che le farò», disse l’uomo, «servono a capire se dentro quella tunica c’è un vero servo di Dio, un seguace di Cristo o un millantatore.»

Il frate, con l’indice della mano destra appoggiato sulle labbra, come se volesse tenerle cucite, ascoltava con falso interesse, facendo intendere di essere un po’ stupito. In realtà sembrava sicuro che quelle domande gli avrebbero fruttato qualche euro. Ci pensò un attimo e poi disse: «Tutti potremmo essere figli di Dio, seguaci di Gesù Cristo, millantatori o erba selvatica di madre natura. Io potrei essere una o tutte queste cose.»

«Allora», gli disse l’uomo, «visto che lei in questo momento ha addosso un saio, è sicuramente più vicino alla dimora suprema, cioè in confidenza con Dio. Mi indichi col dito, nel cielo, in quale direzione bisogna puntare per raggiungere il Paradiso».

Il frate si portò una mano in testa, cercando di individuare al tatto il confine tra capelli e calvizie che fungeva da tonsura. Quel gesto forse poteva anche essere una naturale reazione al disagio di una domanda troppo impegnativa. Ci si gratta la testa mentre si cerca una soluzione accettabile a un problema.

L’uomo, notando la difficoltà del frate, volle dargli un’altra chance.

«Se le è più congeniale l’opposto del Paradiso, mi indichi il punto verso cui non dovremmo mai dirigerci per non finire all'Inferno.

«Lei sta cercando questi due luoghi nel posto sbagliato», disse il frate.

Mentre facevano questa conversazione, proprio accanto a loro passò un ragazzo nero di pelle. L’uomo lo guardò con interesse, come se l’aver visto quel ragazzo gli avesse ispirato qualcosa. «Ieri», disse, «durante una conversazione con un mio amico, un fervente cattolico che non vedevo da molto tempo e che non vive qua in Sicilia, mi colpì una sua frase che pronunciò con tono acrimonioso. Mi chiese: «Anche da voi arrivano questi Neri?»

Nonostante l’uomo avesse notato nell'espressione del monaco un certo turbamento, gli fece questa domanda: «Anche i neri di pelle sono figli di Dio come noi che abbiamo la pelle bianca?»

Il frate mostrò esitazione. Probabilmente per elaborare la frase, o forse perché la frase acuì il turbamento, e rimase zitto per una buona manciata di secondi.

L’uomo, vedendo il frate di nuovo in difficoltà, l’osservava con un pizzico di divertimento (non malvagio però) e addolcì la domanda.

«Intendevo dire se, per alcune religioni, il colore della pelle sia un discriminante».

Il frate fece un sorriso che sembrò di apprezzamento, forse non per la scontata risposta che quella domanda avrebbe richiesto, ma per le monete che una risposta accettabile gli avrebbe fruttato.

Ci pensò qualche secondo e poi disse: «Queste non sono risposte da monete. Per dare risposta a questa domanda ci vuole un biglietto di carta.»

«I soldi bisogna saperseli guadagnare», immediatamente rispose l’uomo.

«Lei, per non scucire un misero euro, sta facendo un processo», prontamente reagì il frate.

«Si sbaglia», disse l’uomo, «e per dimostrarglielo le dico che non vado via di qua fin quando lei non avrà in mano qualcuno dei miei euro».

Al frate tornò il sorriso un po’ furbesco e attese un’altra domanda che arrivò presto.

«Ammettiamo che buona parte degli umani siano corretti, irreprensibili e quindi non soggetti ad una pesante giustizia divina. Ma ci sono i rimanenti, malvagi, corrotti, assassini, truffatori eccetera eccetera, che scatenano l’ira divina. L’ultima domanda che le faccio è: quando il loro dio non sopporterà più queste azioni e vorrà applicare la sua “giustizia”, come processerà costoro?»

«Li manderà all'Inferno! Punto e basta!» disse con decisione il monaco.

«La sua risposta è troppo semplicistica e non merita una ricompensa. Ma ho la domanda di riserva, che le potrebbe fruttare un biglietto di carta moneta da cinque euro. Alla nascita siamo tutti atei ed è poi l’indottrinamento che fa diventare cristiani, musulmani, buddisti, altro o fa rimanere atei?»

Il frate aggrottò la fronte e, un po’ irritato, fece qualche passo avanti e indietro per cercare una soluzione e riportare il discorso sul “suo” vero terreno, che si rivelò non essere quello dell’accattonaggio ma del seminatore.

«Chi mi tiene il bastone e la borsa?» chiese.

L’altro uomo, che non aveva ancora aperto bocca, si offrì di farlo.

Quando il frate ebbe le mani libere sciolse il cordone al saio e se lo sfilò rendendo evidente il perché dell’eccessivo spessore. Sotto il saio aveva un altro abito, la dalmatica di un diacono e, in quella nuova veste tornò all'attacco: «Brava gente! Grazie mille e mille grazie. Due euro a testa per il regno del Paradiso».

Tutti guardavano attoniti la metamorfosi del frate.

«Ora fatemi altre domande, la mia posizione si è, per così dire, alleggerita e forse potrò guadagnare qualche euro».

Visto che nessuno gli fece altre domande e tantomeno gli diedero denaro, il “diacono” si sfilò anche la dalmatica sotto la quale si scoprì un abito da Monaco tibetano.

«Brava gente! Grazie mille e mille grazie. Due euro a testa per il regno del Paradiso».

Il gruppetto, ancora più stupito di prima, rimase completamente ammutolito, mentre il frate, dopo aver atteso invano qualche reazione dai quattro, continuò il suo trasformismo. Sotto la tunica tibetana aveva una veste con le facce di Confucio e Lao Tze e ripeté la formula per l’accesso al Paradiso.

Attese ancora qualche istante, col gruppetto sempre muto e stupito, e si sfilò anche quella veste.

Sotto l’abito con i filosofi cinesi c’era una tunica araba. Da una tasca della galabeya prese un foulard e se lo adattò in testa come turbante.

 «Brava gente! Due euro a testa per il regno del Paradiso!»

Il mutismo del gruppetto scoraggiò il frate che giocò l’ultima carta. Sfilandosi la galabeya, rimase soltanto con la biancheria intima di color scuro. Senza attendere oltre, si tolse anche la maglietta e rimase in mutande.

«Ora sono un vero uomo senza segni di appartenenza?!» chiese con tono quasi di rimprovero.

«Adesso che non sono più un frate, non sono un diacono e nemmeno un monaco tibetano, né un seguace di Confucio, come non sono un arabo, ma sono semplicemente un nudo seminatore. Brava gente! Grazie mille e mille grazie! Due euro a testa per il regno del Paradiso».

Quell'insignificante frate dalla tunica sbiadita e logora, ora senza alcuna divisa, iniziò la sua semina. Ora, vestito di un po’ di comicità per la quasi totale nudità, prese più vigore. Il suo viso cambiò espressione. Quell'aspetto un po’ trasandato e distratto adesso aveva assunto l’atteggiamento di chi si accinge a fare un serio discorso in un evento di grandissima importanza.

«Uno di voi, poco fa, mi ha chiesto se tutti gli uomini alla nascita sono atei. Adesso che vi conosco un pochino, sono certo di poter dare non una risposta ma il mio parere.

L’umanità, facendo una grossolana suddivisione, si potrebbe dividere in due categorie: gli irreggimentati e i non irreggimentati. La necessità, per alcuni, di appartenere a un partito politico, a una religione, a una setta o a un esercito, che sia per fare guerre o per la salvezza dell’umanità, ha origini e fini molto controversi, ma sono la maggioranza.

Gli altri, senza divisa come lo sono adesso io, non si vogliono irreggimentare ma semplicemente vogliono essere liberi. Alcuni di questi uomini liberi vengono definiti atei. Il termine è sbagliato perché comprende tutti i non chiusi, in senso religioso, in un recinto. Questi sono coloro che cercano di comprendere l’origine delle cose secondo una logica non limitata da un recinto. Molti di loro seguono o si ispirano alla metafisica aristotelica. Non vogliono indottrinarsi perché sono convinti che dentro le mura di qualsiasi recinto non si può avere un orizzonte ampio.

Dentro i recinti si chiudono coloro che cercano potere, fama, sicurezza, protezione, ricchezza o dominio, ma anche i sedicenti “eserciti della salvezza” che, con presunzione, vorrebbero che tutti gli esseri umani si guadagnassero un presunto Paradiso. Forse, anzi sicuramente, questi “eserciti della salvezza” si ritengono tenutari e portatori della verità assoluta: quella divina.

Torniamo alla domanda “Alla nascita siamo tutti atei?”

Alla nascita siamo tutti nudi, fisicamente e spiritualmente, senza alcuna religione o appartenenza, se non quella che madre natura assegna a ciascun essere vivente: vivere e quando è necessario sopravvivere, per tornare nuovamente a vivere. Vuol dire che nessun essere vivente quando nasce è indottrinato, quindi si nasce liberi e si muore prigionieri».

Si zittì nuovamente per qualche istante lisciandosi la barba.

Dopo essersi rivestito e recuperato bastone e borsa, dentro la quale mise tutti i vestiti tranne quello con l’effigie di Confucio, prima di riprendere il suo cammino disse: «Brava gente!  Grazie mille e mille grazie… Grazie mille e mille grazie per non aver tentato di comprare con qualche euro la possibilità di aspirare al regno del Paradiso».

Dopo quest’ultima frase, pronunciata con molta enfasi, si allontanò senza più voltarsi, mentre salutava agitando la mano destra al di sopra della testa.

  

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