sabato 18 aprile 2020

QUALI SEMI PER UNA CIVILTÀ?



Non so quanti sono d’accordo sul fatto che, dopo questa pandemia, per "riscrivere" la storia e il futuro dell’umanità sarà necessario dar spazio ad una visione del mondo diversa da quella convenzionalmente accettata da molti come normale fino ieri. Certo è che chi in passato ha scritto in controtendenza con quello che il mondo “richiedeva” aveva la sensazione che la via che stavamo seguendo non fosse quella giusta e nemmeno la più sana.

Quando ho iniziato a scrivere e ho inviato il mio primo romanzo a editori importanti, alcuni di questi, pur avendo apprezzato l’opera nel suo contenuto, mi risposero che non era quello che il mondo vuole sentire.
Perché scrivo? mi sono chiesto, se il mondo non ha bisogno di ciò che racconto.
Una risposta, affinché non smettessi di scrivere, arrivò in mio soccorso da un pensiero di Bertold Brecht che mi sta molto a cuore:
 “Non si scrive solo per esprimere un proprio sentimento personale, una visione del mondo suggerita dalla fantasia o dal desiderio del bello: si scrive per comunicare agli altri una verità politica e morale, per rappresentare la realtà sociale in cui viviamo e quindi contribuire a correggerla”.
Strada facendo dalle mie narrazioni sempre più emergeva la convinzione che una civiltà con troppi "puntelli" e pochi pilastri solidi non poteva durata a lungo. Per questo ho scelto di continuare a scrivere con determinazione quello che sentivo e non quello che il mondo avrebbe voluto sentire.
Come ho già scritto in altri contesti, non credo che l'umanità per trasformarsi in civiltà abbia bisogno di intelletti, oltre quelli che ci sono già, che con il loro raccontare inventino storie verosimilmente tragiche. Per procurare questa emozione in un libro penso che basterebbe raccontare la pura realtà: la cronaca è spesso più drammatica, tragica, stupida e infame di quanto la fantasia di uno scrittore possa immaginare.
Preferisco raccontare storie che siano più utili a far volare lo spirito al di sopra del reale, per non ferire ulteriormente l'animo umano già abbastanza turbato dalla realtà. Penso che vivere materialità, spiritualità ed emozioni, facendoli volare qualche volta al di sopra del reale può essere utile perfino a trasformare uno schiaffo in una carezza; in questo modo i protagonisti delle mie opere, nella loro utopia, sognano l’umanità del futuro.
L’Homo sapiens sapiens, ironia nella ridondanza del nome, sta stravolgendo l’assetto naturale del Pianeta. Credo, anzi ne sono certo, che ogni aspetto delle nostre future attività dovrà essere rivisto, riscritto e reinventato.
Questa mia convinzione deriva da un dato incontrovertibile: i geologi, per sottolineare quanto l’uomo stia modificando l’ambiente, hanno pensato di chiamare la nostra epoca geologica “Antropocene”, per far comprendere la pesante influenza dell’azione umana che il Pianeta subisce.

Nelle mie opere intendo descrivere un mondo fatto di valori profondi e di relazioni autentiche tra le persone, con pochi aspri scontri e, anche se in contrapposizione, leale dialogo.  
 Alla luce di ciò che sta capitando in tutto il Pianeta, ieri le mie opere, per un mondo che inseguiva soltanto la crescita economica, potevano sembrare inutili perché il loro contenuto si poteva interpretare come “un arbusto che vorrebbe fermare una mandria di bisonti scatenati” che vanno verso un precipizio.
Oggi i “bisonti” non solo non sono più infuriati ma sono spaventati e calmi, ed io credo che abbia un senso la visione del mondo che propongo nelle mie opere: contesto sul quale oggi l’umanità è chiamata a riflettere.
Credo che la sorte del Pianeta non sia solo in mano alle scelte del potere economico, di chi amministra le nazioni, di chi emana leggi e regole e di chi deve farle rispettare. Anche chi scrive ha le sue responsabilità rispetto alla qualità dei “semi” che sparge con le parole.

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