Quando ho iniziato a scrivere e ho inviato il mio primo
romanzo a editori importanti, alcuni di questi, pur avendo apprezzato l’opera
nel suo contenuto, mi risposero che non era quello che il mondo vuole sentire.
Perché scrivo? mi sono chiesto, se il mondo non ha bisogno
di ciò che racconto.
Una risposta, affinché non smettessi di scrivere, arrivò in
mio soccorso da un pensiero di Bertold Brecht che mi sta molto a cuore:
“Non si scrive
solo per esprimere un proprio sentimento personale, una visione del mondo
suggerita dalla fantasia o dal desiderio del bello: si scrive per comunicare
agli altri una verità politica e morale, per rappresentare la realtà sociale in
cui viviamo e quindi contribuire a correggerla”.
Strada facendo dalle mie narrazioni sempre più emergeva
la convinzione che una civiltà con troppi "puntelli" e pochi pilastri
solidi non poteva durata a lungo. Per questo ho scelto di continuare a scrivere
con determinazione quello che sentivo
e non quello che il mondo avrebbe voluto
sentire.
Come ho già scritto in altri contesti, non credo che
l'umanità per trasformarsi in civiltà abbia bisogno di intelletti, oltre quelli
che ci sono già, che con il loro raccontare inventino storie verosimilmente tragiche.
Per procurare questa emozione in un libro penso che basterebbe raccontare la
pura realtà: la cronaca è spesso più drammatica, tragica, stupida e infame di
quanto la fantasia di uno scrittore possa immaginare.
Preferisco raccontare storie che siano più utili a far
volare lo spirito al di sopra del reale, per non ferire ulteriormente l'animo
umano già abbastanza turbato dalla realtà. Penso che vivere materialità,
spiritualità ed emozioni, facendoli volare qualche volta al di sopra del reale può
essere utile perfino a trasformare uno schiaffo in una carezza; in questo modo
i protagonisti delle mie opere, nella loro utopia, sognano l’umanità del
futuro.
L’Homo sapiens sapiens,
ironia nella ridondanza del nome, sta stravolgendo l’assetto naturale del
Pianeta. Credo, anzi ne sono certo, che ogni aspetto delle nostre future
attività dovrà essere rivisto, riscritto e reinventato.
Questa mia convinzione deriva da un dato incontrovertibile: i
geologi, per sottolineare quanto l’uomo stia modificando l’ambiente, hanno
pensato di chiamare la nostra epoca geologica “Antropocene”, per far
comprendere la pesante influenza dell’azione umana che il Pianeta subisce.
Nelle mie opere intendo descrivere un mondo fatto di valori
profondi e di relazioni autentiche tra le persone, con pochi aspri scontri e,
anche se in contrapposizione, leale dialogo.
Alla luce di ciò che
sta capitando in tutto il Pianeta, ieri le mie opere, per un mondo che
inseguiva soltanto la crescita economica, potevano sembrare inutili perché il
loro contenuto si poteva interpretare come “un arbusto che vorrebbe fermare una
mandria di bisonti scatenati” che vanno verso un precipizio.
Oggi i “bisonti” non solo non sono più infuriati ma sono
spaventati e calmi, ed io credo che abbia un senso la visione del mondo che
propongo nelle mie opere: contesto sul quale oggi l’umanità è chiamata a
riflettere.
Credo che la sorte del Pianeta non sia solo in mano alle
scelte del potere economico, di chi amministra le nazioni, di chi emana leggi e
regole e di chi deve farle rispettare. Anche chi scrive ha le sue
responsabilità rispetto alla qualità dei “semi” che sparge con le parole.
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