lunedì 18 maggio 2020

CACOFONISTI e LOGOFAGI




 
 La Che prima cazzo me condizione perché il ne frega dialogo di sia quello possibile che è vuoi il dire. Rispetto A reciproco me che implica interessa il dovere di soltanto comprendere il lealmente ciò che mio l'altro pensiero dice
Questo, più o meno, è quello che si comprende ascoltando più persone, che potremmo definire cacofonisti e logofagi al lavoro, quando parlano contemporaneamente. È solo un esempio per esprimere ciò che si può comprendere di un discorso quando non si tiene conto del sostantivo dialogo.
Eppure queste incomprensibili righe contengono due importanti e significativi pensieri. Ma sfido chiunque a capirci qualcosa.

Con la parola dialogo, (dia “attraverso” e logos “discorso”) gli antichi greci definivano la capacità di comunicazione e comprensione reciproca: discorrere, conversare, trovarsi insieme.
Ma quale stare insieme e conversare può esserci quando la conversazione è continuamente interrotta da: "Mi lasci finire...!?"; "Io non l'ho interrotta...!"; "Posso parlare...!?"
A queste frasi, che si manifestano spesso nei dialoghi televisivi, soprattutto se si parla di politica e società (molti conduttori e conduttrici, che dovrebbero moderare, ci vanno a nozze) spesso si aggiunge l’aggravante che più persone parlano contemporaneamente.
Per fare un esempio comprensibile voglio usare la musica. Per capirci qualcosa tra il “Mi faccia finire!” e “Io non l’ho interrotta”, bisognerebbe essere capaci di cogliere il tema di un'opera musicale soltanto ascoltando i componenti dell'orchestra mentre scaldano gli strumenti prima dell'esecuzione. Solo che a quella cacofonia di suoni poi segue l’esecuzione che ci allieta. Mentre alla fine di un cacofonico dialogo non si è capito niente e se ne esce più confusi di prima.

Affinché il dialogo sia possibile sarebbe necessario che ogni interlocutore abbia rispetto dell'altro. Se ciò non avviene al posto del dialogo si ha un concerto di soliloqui.
Credo, tutto nasca dallo scarso uso che si fa della parola "dialogo" che, in ogni circostanza nel rapporto con gli altri, tutti dovremmo usare nel suo pieno significato: un confronto verbale che diventi strumento per esprimere pensieri e sentimenti diversi, anche se discordanti. Quindi confronto di idee, opinioni o programmi, allo scopo di raggiungere un'intesa; capacità di comunicazione e comprensione reciproca. Reciproca cioè vicendevole, univoca. Socrate la definiva: “interrogazioni tra due o più interlocutori, che mirano alla correzione di un errore iniziale per giungere a una verità condivisa”.

Quelle poche righe incomprensibili, all’inizio di questo scritto, sono la fusione scombinata di due chiarissimi pensieri. Uno è di Norberto Bobbio e dice: “La prima condizione perché il dialogo sia possibile è il rispetto reciproco, che implica il dovere di comprendere lealmente ciò che l'altro dice”. L’altro è un penoso testo inventato da me e mischiato alle parole di Bobbio: “Che cazzo me ne frega di quello che vuoi dire tu? A me interessa soltanto il mio pensiero”.
Ma allora che cosa spinge i commentatori a diventare cacofonisti se il risultato è negativo? Credo sia il sistema per attirare l'attenzione, non su quello che dicono ma per come lo dicono. L’obiettivo finale è far parlare del contenitore e non del contenuto. 

Per non dilungarmi molto su questo tema concluderei con l'esempio del torchio. Dopo la pigiatura dell'uva si spremono le raspe. Lo si fa se si vuol far uscire fino all'ultima goccia di mosto. Così dovrebbe essere la discussione: una spremitura che tira fuori il succo della verità fino all'ultima goccia è imprigiona nel torchio tutto ciò che l'offusca. 


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