Non possono esserci dubbi! Il primo comma dell'articolo
21 della Costituzione parla chiaro: "Tutti hanno diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione".
Nonostante queste precise parole dell'articolo 21, alcune
volte mi chiedo se c'è un sistema di misura per poter valutare se si è idonei o
meno a divulgare le proprie idee con la scrittura.
Da questo contesto, senza
alcun dubbio, escludo coloro che elaborano documenti nell’ambito
amministrativo, burocratico, giuridico, storico ecc. cioè tutti quei documenti
che, necessariamente, devono essere scritti da esperti qualificati del settore,
correttamente redatti sia nella forma che nel contenuto e non suffragati dal
libero pensiero. Quindi, per proseguire nel ragionamento, circoscriviamo il mio
interrogativo soltanto al frutto della fantasia e della libera creatività.
Perché questa incertezza? Perché, nonostante abbia già
pubblicato due romanzi, scritto più di cinquanta racconti e svariati articoli,
confesso che più volte ho pensato di non avere tutti i requisiti necessari per
godere appieno di questa libertà che l’articolo 21 della Costituzione generosamente
concede a chiunque.
Da cosa nasce il dubbio? Più che da cosa nasce, forse bisognerebbe
chiedersi quando nasce.
Nasce quando mi accorgo che i miei scritti già ultimati
contengono ancora qualche errore e il dubbio si intensifica quando l’errore (o
refuso, come lo si chiama in editoria) emerge nel già pubblicato.
Nonostante questo possa capitare a chiunque (ho trovato
refusi in best seller) i miei un po’ mi rattristano perché mi riportano alla
mente un vecchio aneddoto: quando lo scrittore Renato Fucini era ispettore scolastico
gli capitò di dover riprendere un maestro che sottovalutava l’importanza della
punteggiatura. Al risentimento del maestro, Fucini ribatté scrivendo alla
lavagna la frase “Il maestro dice: l'ispettore è un asino”.
Quando il maestro cercò di scusarsi, dicendo che non intendeva
offenderlo, Fucini rispose: «Guardi cosa può fare qualche virgola!» E si
apprestò a modificarne la punteggiatura, facendo diventare la frase: “Il
maestro, dice l'ispettore, è un asino!”
Qualche virgola ha il potere di “decidere” chi fra il maestro
e l’ispettore è asino; mentre nella frase “Vado
a mangiare nonna!” addirittura una sola virgola nel posto giusto ha il
potere di non far diventare cannibale un nipote. Allora mi domando cosa può
capitare nei miei scritti quando non mi accorgo di una “nota” stonata?
Parlo di note perché penso che scrivere può essere
paragonato a suonare uno strumento. Ma prima di proseguire voglio porre qualche
quesito. È più bello un fiore di campo o uno coltivato? Contiene più saggezza
un testo con qualche errore grammaticale ma ricco di significato o uno farcito
di belle frasi lessicalmente ineccepibili ma con poco costrutto?
Penso che non ci sia nessuna risposta che possa stabilirlo
in modo preciso, perché tutto dipende dal fiore che si osserva e, come già
accennato, dal fine che deve raggiungere un testo. Certo sarebbe meglio che in
qualsiasi scrittura non ci fossero errori. Ma permettetemi ancora una domanda:
cosa facciamo con tutti gli scritti che contengono errori di grammatica? Li
eliminiamo completamente dalla circolazione, così nessuno patirà più terribili
"sofferenze" a causa di quegli errori?
Questa non è una riflessione per giustificare i miei refusi, ma perché nella scrittura sono come un musicista che suona a orecchio. Ma anche per confessare due cose: di avere qualche difficoltà con la perfezione della grammatica e di essere felice di non aspirare a diventare grammarnazi.
A volte mi capita di non avere ben chiari gli strumenti
necessari per una perfetta sintassi e di non essere in grado di verificare se
la frase che ho scritto risponde perfettamente alle regole più aggiornate.
Allora, come se suonassi uno strumento, mi affido al mio orecchio: dopo aver
scritto una frase la leggo e l'ascolto come fosse musica. Se suona bene la
lascio, se presenta delle stonature cerco di "accordarla". D'altra
parte prima di iniziare a scrivere suonavo il sax ma non a orecchio, lo suonavo
leggendo lo spartito. Da ragazzino avevo imparato la grammatica del
pentagramma, mentre la possibilità di apprendere bene quella della scrittura
purtroppo l'ho avuta da grande, quando il legno è più difficile da piegare.
Per non arrendermi mi avvalgo della facoltà del compositore.
Un compositore non scrive le sue opere direttamente nel pentagramma. Prima
pensa la frase, se suona bene nell'accordo la prova con lo strumento e poi,
quando il suo orecchio dice ok, la trascrive definitivamente nel pentagramma.
D’altra parte, chi non ha mai ascoltato un artista che, pur non conoscendo la
grammatica della musica, cioè non sapendo leggere nel pentagramma, suona
benissimo uno strumento ed esegue a orecchio brani musicali senza
difficoltà? Ecco, grosso modo, io adotto questa tecnica nella scrittura.
Ritengo importante puntualizzare e ironizzare su questo
problema, non perché me ne faccia un cruccio o per giustificare i miei “errori”,
ma per “salvare qualche vita”. Se leggendo le mie opere dovesse emergere che
una “virgola” mette in pericolo qualcuno, per favore avvisatemi! Dove è
possibile, farò di tutto per salvargli la vita.
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