Quando ho aperto questo blog, pensavo di parlare soprattutto di
spirito, di sogni, di diritti e doveri, ma non di politica esplicita.
Oggi
però, parafrasando Brecht, parlare soltanto di spirito e sogni "è quasi
un delitto". Per questo sento il dovere di pubblicare questo articolo
che riguarda strettamente la politica. Lo faccio in nome della coscienza civile.
Bulli al potere o fascisti gattopardiani?
È ancora necessario parlare di fascismo mentre si diffonde il bullismo di potere? Credo sia proprio necessario parlarne.
Chi si ispira a metodi autoritari vorrebbe che non se ne parlasse più, così da poter attuare nel silenzio l’astuta strategia della talpa, mentre i bulli desiderano che di loro si parli molto.
Per capire i tempi che viviamo nel nostro Paese bisogna tornare al referendum del ’46, quando si scelse tra monarchia e repubblica. In quel momento storico, circa dieci milioni di cittadini votarono per mantenere la monarchia. In alcune regioni emerse, con alta percentuale, la volontà di non abbatterla e, di conseguenza, di non cancellare del tutto il ventennio fascista.
Negli anni successivi alla nascita della Repubblica i costruttori di democrazia coltivarono la speranza che quanti si erano ispirati alle ideologie autoritarie si convertissero al rispetto della Costituzione. Quella speranza tuttavia rimase in gran parte disattesa. Molti di quelli che avevano riempito le piazze per applaudire il dittatore, monarchici e fascisti, abbandonarono simboli e denominazioni, ma non la sostanza. Alcuni adottarono la fiamma, altri lo scudo crociato, altri ancora emblemi di pura fantasia. Non mancò chi, per picconare la Repubblica, arrivò a ispirarsi ad Alberto da Giussano: dimenticando che il leggendario condottiero univa forze diverse contro un nemico comune, non divideva un popolo.
Con il passare dei decenni, delusi da quei simboli e dalle regole costituzionali inapplicate, altri diedero vita a un nuovo movimento che, questa volta, si ispirava alle stelle.
Più tardi, negli anni ’90, i meno nostalgici cercarono un uomo forte che facesse i loro interessi. Così si travestirono da tifosi, gridando “Forza Italia!” come fosse soltanto uno slogan calcistico. Altri, mutando ancora pelle, si inventarono la Fratellanza. Tutto ciò è proseguito fino a oggi, epoca in cui nostalgici, violenti e moderati, messe da parte le vecchie maschere, hanno indossato l’abito del potere istituzionale: siedono nei parlamenti, guidano governi, influenzano leggi e coscienze.
Ed è questo il punto più inquietante: i nostalgici del fascismo non si presentano più con la camicia nera o con il passo dell’oca per esaltare la forza, ma con un linguaggio che imita quello della democrazia, che piegano e svuotano dall’interno. Una dinamica non dissimile, purtroppo, avviene anche in altri Paesi.
L’errore che commettiamo è non chiamarli con il loro vero nome. Definirli semplicemente “bulli” è riduttivo. Ma se vogliamo usare questo epiteto, che appare meno minaccioso, dobbiamo ricordare una cosa: nell’epoca dell’eccesso di mezzi di comunicazione, i bulli al potere prosperano grazie alla notorietà. Più se ne parla, nei dibattiti radiofonici, televisivi o sui social, più cresce in loro il senso di onnipotenza. E se sono anche estremamente ricchi, tutto si amplifica.
Per evitare che un bullo diventi un personaggio mitico sarebbe meglio non rispondere alle provocazioni e limitare al minimo la discussione: l’ostracismo può spegnere quel tipo di arroganza.
Chi sono coloro che concedono consenso elettorale a questi rigurgiti del passato? Chi ama l’uomo forte e ignora la storia dei totalitarismi, oppure chi ha ereditato il pensiero di quei dieci milioni che nel ’46 votarono per la monarchia, oggi quasi tutti scomparsi. C’è poi un’altra ipotesi: chi non appartiene né agli uni né agli altri, forse pensa di aver trovato il condottiero capace di proteggerlo dalle cattiverie umane. Ma è come un agnello che si affida al lupo per sentirsi al sicuro.
Tempo di bulli, di potere o di fascisti? Piuttosto è tempo di usare le parole giuste per smascherare chi cerca di svuotare i principi democratici dall’interno delle istituzioni. Parlarne con il nome corretto non è memoria sterile, ma dovere civile. Tacere significherebbe legittimare chi non accetta le regole repubblicane e la loro metamorfosi gattopardiana: cambiare l’apparenza per restare ciò che sono sempre stati.
Non so se ciò che sta avvenendo oggi, di negativo, e in parte drammatico, sia legato a un ciclo storico del cammino dell’umanità. Possiamo chiamare le destre estreme al potere bulli, autoritari risvegliati o fascisti rinvigoriti. Resta il fatto che, quando non erano al potere, i conflitti erano meno numerosi e meno inquietanti, non solo quelli armati ma anche quelli verbali. Oggi, di pari passo con l’avanzata delle destre estreme, i dialoghi sono diventati scontri violenti e già vibrano i tamburi di guerra.