Non sono un pittore né uno
scultore; tuttavia dipingo e modello. Non sono nemmeno un cantante di successo,
né un attore affermato; però canto e recito. Non ho abbastanza coraggio
per conquistare quello che vorrei, né la necessaria paura per tenermi lontano
da ciò che vorrei che non accadesse. Tuttavia dipingo e modello nei miei pensieri ciò che vedo e ascolto;
canto e recito la mia parte.
Non sono ricco da poter
comprare uno spazio mediatico in cui far notare (o forse urlare) la parte che
dovremmo tutti impersonare. Non sono, ahimè, figlio, fratello o convivente
di un politico. E nemmeno sono un politico, tuttavia non posso fare a meno di occuparmene.
Non “sono”, eppure sono e sento. Sento delle ragioni. Sento che anch'io ho dei doveri e delle responsabilità se non siamo quello che dovremmo essere. Se ancora non siamo quello che vorremmo essere: un mondo migliore.
Secondo Aristotele, “in uno Stato ciascuno deve svolgere le proprie funzioni al fine del bene collettivo. In quest’azione si manifesta la sua virtù”.
Il metodo
Immaginiamo il polline di un fiore sospinto da un leggero soffio di vento o dal respiro delicato di qualcuno. In un attimo, invisibile all'occhio, si libera per abbracciare altri fiori portando con sé la promessa di rinascita. E quando il fiore appassisce non segna la fine ma l'inizio di una nuova vita: fragile e sorprendente come un anticorpo che si erge contro una forza oscura.
Oppure consideriamo il bruco che, consumato il suo tempo, lascia il posto alla meraviglia: la farfalla che spicca il volo e incarna il miracolo del cambiamento. Tutto dipende dal seme, quel minuscolo nucleo di potenzialità che è il nostro pensiero. Possiamo diventare noi stessi quel seme maturo pronto a dar vita ad una nuova Civiltà fatta di sogni e passioni.
Pensiamo anche all'acqua, simbolo per eccellenza della vita, della rinascita e della purificazione. Essa nasce in cima a un monte, pura e indomita, e segue il suo percorso con calma, scavalcando ostacoli e superando ogni curva del destino, finché non giunge al mare, il suo altare. Lì si dissolve per sublimarsi in qualcosa di più grande.
Per costruire una civiltà dobbiamo ispirarci a queste cose, non per imporci, non per irreggimentare o dominare, ma per contagiare altri con una forza delicata.
Ricordiamo quando da bambini correvamo verso il genitore per trovare rifugio in un abbraccio che racchiudeva tutta l'essenza della vita? In quell'istante il mondo sembrava ridursi all'amore che dissetava la nostra anima. È proprio quell'emozione, quell'istante di pura felicità che può trasformare i nostri sogni in Civiltà.
Il raccolto arriverà quando deve arrivare; nel frattempo ogni azione ci può far riscoprire la nostra virtù per un cammino di sogni e di utopie realizzabili.
Chiunque sente il richiamo di quel seme interiore, si può unire a questo pensiero fragile e potente capace di far fiorire e contagiare il mondo, dando origine ad una civiltà che non smette mai di sognare un mondo migliore per i nostri figli e per coloro che verranno dopo di loro.
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