Al sig. Presidente della REPUBBLICA ITALIANA [ROMA]
Al sig. Presidente
del Consiglio Superiore della Magistratura [ROMA]
Al sig. Presidente
della Suprema Corte Costituzionale [ROMA]
Al sig. Presidente
del Consiglio dei Ministri [ROMA]
Al sig. MINISTRO
DELLA GIUSTIZIA [ROMA]
Al sig. Presidente del Senato della Repubblica [ROMA]
Al sig. Presidente
della Camera della Repubblica [ROMA]
E p.c. ad alcuni mezzi di informazione.
Raccolgo
adesioni, per chiedere che venga sostituita la scritta “La
legge è uguale per tutti”, che
sovrasta gli scranni delle aule di giustizia,
con un'altra scritta priva di falsità e d'ipocrisia:
La
legge deve essere
uguale per tutti!
L'articolo
3 della Costituzione, nel primo comma, dice che tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge. I Padri
costituenti non potevano usare parole più sagge. Ma
nell'applicazione, l'articolo tre viene rispettato?
È dimostrabile che tutti i cittadini
non possono ricevere pari dignità dalle istituzioni se
l'applicazione della legge non è uguale per tutti.
Una quarantina di anni fa, nel dialetto
del mio paese natale, sentivo pronunciare questo detto popolare: “
Cu avi sordi e amicizia sinni futti da giustizia!”. I
detti popolari difficilmente contengono falsità. Spesso chi aveva
amici influenti e danaro a sufficienza, riusciva a sfuggire alle
maglie della giustizia.
Dopo quarant'anni mi sembra che non sia
cambiato niente. Oggi che vivo in una grande città la stessa frase
la sento pronunciare in italiano, ma il senso non è cambiato: “La
giustizia non è uguale per tutti! “
Forse tale convinzione scaturisce dalla
sensazione che abbiamo noi cittadini a seguito della troppa
“indulgenza” che la giustizia ha verso alcuni potentati che hanno
conoscenze in politica o in “paradiso”.
Quale idea si fa
della giustizia un cittadino, che crede di vivere in una società
del diritto e del dovere, quando si accorge che l'applicazione della
legge è uguale solo per tutti i più deboli economicamente?
Nel
1794 il giurista, illuminista, Cesare Beccaria pubblicava il trattato
dal titolo “Dei
delitti e delle pene” nel quale definiva
qualunque reato “...un danno alla società, e quindi
all'utilità comune.
Perché ogni pena non sia una
violenza di uno o di molti contro un privato cittadino”,la
condanna,
raccomandava Beccaria,“dev'essere essenzialmente
pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date
circostanze, proporzionata ai delitti, dettata dalle leggi”.
Negli anni
successivi la pubblicazione, il saggio di Beccaria influenzò
filosofi, giuristi e pensatori in tutta Europa. Al pensiero di
Beccaria, allora, si unì l'azione dell'Accademia dei Pugni, e ad
esso si ispirarono illuministi come Voltaire e Diderot, e uomini di
stato di diversi paesi. Persino la Zarina Caterina di Russia ne
adottò apertamente il principio. Mentre, oltre oceano, i Padri
fondatori degli Stati Uniti d'America, definendo il lavoro di
Beccaria un autentico capolavoro, ne presero spunto per le leggi
costituzionali statunitensi.
Ma cosa succede nel
nostro Paese, patria di Cesare Beccaria?
Possiamo dire, ed è
comune convinzione, che le cose non siano andate in quel verso. In
barba ai consigli di Beccaria, capita che da un lato ai più deboli,
per pochi tributi non pagati, si pignorano case o beni persino di
attività produttive; mentre sull'altro fronte, alla “casta” per
gravi reati, vengono comminate condanne irrisorie.
Due documentati
casi, opposti, come esempio: un ragazzo, a Torino, dopo essersi
licenziato perché non riceveva lo stipendio da sei mesi, denuncia
alla magistratura il fatto. Al processo il datore di lavoro viene
condannato, ma non avendo alcun bene intestato alla sua persona, non
paga né il lavoratore e nemmeno le spese processuali. Qui per il
giovane lavoratore interviene la “giustizia”: oltre il danno la
beffa, lo Stato chiede al lavoratore già danneggiato le spese
processuali.
In un
caso opposto, nella casta, ad un politico condannato per evasione
fiscale di svariati milioni di euro, viene “inflitta” una pena
ridicola: quattro ore settimanali di assegnazione ai servizi sociali
per un anno. A questo evasore, che come diceva Beccaria ha
arrecato un danno alla
società, e quindi all'utilità comune,
viene data da scontare una pena più adatta ad un adolescente che
ha commesso una grave bravata.
Mi chiedo: quanti
cittadini sarebbero disposti a imitare il ragazzo di Torino e quanti
invece pronti a frodare lo Stato di qualche milione di euro, sapendo
di dover pagare con quattro ore di assegnazione ai servizi sociali?
Sono due casi
soltanto esemplificativi, ma, purtroppo, di corrotti e corruttori,
che piegano le leggi dello Stato usando la politica, nel nostro Paese
se ne possono elencare a migliaia.
Mi
sembra evidente che di fronte a questa realtà troppo diffusa,
qualsiasi cittadino che abbia un minimo senso dello Stato possa
pensare che la legge non è
uguale per tutti. E
chiunque, purtroppo, può perdere fiducia nelle istituzioni.
Beccaria
raccomandava di non far durare troppo i processi, per non rallentare
il corso della giustizia, per non dare la sensazione di una giustizia
impotente; raccomandava anche di non trasformare i processi in
spettacolo. Ma cosa avviene nelle nostre istituzioni? Per onorare le
raccomandazioni di Beccaria, avviene che un politico, imputato, già
condannato per altri reati, abbia facoltà di farsi difendere da un
avvocato da lui stesso messo nelle liste elettorali e portato in
parlamento. Per fare cosa, se non spettacolarizzare i suoi processi e
manipolare il legittimo impedimento
in tutte le salse possibili?
Piccola
nota (si fa per dire, piccola): l'avvocato in questione, “Onorevole”
è secondo tra gli assenteisti in parlamento, circa 95%
di assenze, ma primo
in classifica per inefficienza parlamentare.
Alla faccia del conflitto di interesse! Ma che Paese stiamo
costruendo?
La domanda viene spontanea: sono i
giudici che non sono capaci di assicurare una giustizia uguale per
tutti, o è la politica che non dà ai giudici i mezzi per
amministrarla? E chi governa il Paese, lo fa secondo i criteri di
quell'equità che detta la Costituzione o lo fa secondo gli interessi
personali di alcuni parlamentari corrotti o corruttori?
Mi sembra chiaro che scardinando il
sistema giudiziario, alla “casta” e a certi politici, è stato
più facile piegare la legge e la giustizia a loro uso e consumo.
Tanto, alla fine, chi paga tutte le inefficienze dello Stato è
sempre l'anello più debole del sistema. Non
ci si meravigli se i ragazzi crescono con l'idea che frodare lo Stato
può essere più conveniente e sicuro di un lavoro.
Ho avuto la fortuna
di frequentare per un periodo i palazzi di giustizia. Per fortuna non
da imputato ma da giudice popolare. In quell'esperienza ho acquisito
la consapevolezza di quanta fatica facciano molti giudici nel cercar
di applicare le leggi o farle rispettare.
Spesso molti
avvocati usano i cavilli giudiziari come strumento di difesa,
allungando i tempi del processo fino a farli giungere in
prescrizione. Mi è capitato persino di essere chiamato in riunione
alle nove di sera, per evitare che un mafioso venisse scarcerato
per decorrenza dei termini. Se il giudice titolare non fosse stato
attento, quel malvivente sarebbe stato scarcerato allo scadere della
mezzanotte.
Povero Cesare
Beccaria! Siamo il paese dove un processo non si può celebrare
perché l'avvocato dell'imputato, (“onorevole”), quasi sempre
assente , quel giorno (combinazione) è in parlamento a fare un
illegittimo impedimento.
Ma siamo anche il
Paese dove ad un ragazzo che ha appena debuttato nel mondo del lavoro
e perde sei tra i primi nove stipendi, lo Stato chiede il pagamento
delle spese processuali. Che Bel Paese è questo?
Però
un punto converge con le raccomandazioni di Beccaria e di tanti altri
ispiratori di giusta giustizia e necessaria moralità: abbiamo fatto
scrivere nelle aule di tutti i tribunali che La legge è
uguale per tutti. Ironicamente,
vorrei che si aggiungesse: per tutti coloro che non hanno
soldi e amicizie...
Ma la
mia non vuole essere ironia; voglio soltanto chiedere una piccola
modifica alla falsa, quanto imperiosa frase, La legge è
uguale per tutti, facendola
diventare:
La
legge deve essere
uguale per tutti!
Chi ritiene che
le mie non sono soltanto fantasie e che l'articolo 3 della
Costituzione non viene rispettato, può dar voce a questa iniziativa
che mi è stata ispirata o “suggerita” da Cesare Beccaria, Pietro
Verri, Giuseppe Mazzini, Benedetto Croce, Alcide De Gasperi, Piero
Calamandrei, Ferruccio Parri e tanti altri cittadini possessori di un
“istinto morale”.
Francesco Corradino
Si può aderire su: http://petizionepubblica.it/PeticaoVer.aspx?pi=P1791RF
http://francescocorradino.blogspot.it/
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