domenica 22 dicembre 2024

IL LIBRO DEL CINQUECENTO

 

     Il parroco di un paese prevalentemente abitato da contadini, braccianti e artigiani un giorno chiamò a colloquio la persona che da anni lavorava a mezzadria alcuni dei suoi terreni. I due, d’accordo, avevano stabilito che tutto il raccolto venisse diviso in parti uguali, con la formula “uno divide e l’altro sceglie”. Tuttavia, questo non avveniva per alcuni frutti, soprattutto per le primizie. In quei casi, i piccoli piaceri del palato del prete erano affidati all’onestà del mezzadro.  


A causa degli impegni parrocchiali e della considerevole distanza tra il giardino e il paese, il prete non era sempre al corrente della quantità e del periodo di maturazione di alcuni frutti. Questi potevano variare di qualità e quantità a seconda dell’annata, e il periodo di maturazione non era sempre prevedibile. Forse a causa di un’eccessiva fiducia nel mezzadro, col passare degli anni, i frutti sulla tavola del prete avevano cominciato a scarseggiare. 
    «Cosa è successo quest’anno ai fichi? Ancora non li ho neppure assaggiati…!» domandò il prete. Era la stessa domanda che gli aveva già fatto l’anno precedente.  
    «Parrinu! I fichi quest’anno si futtieru!» rispose il contadino, abbassando lo sguardo per evitare quello indagatore del prete.  
    Ma dato che il prete aveva buona memoria e ricordava che, a detta dell’uomo, i fichi se li erano “fottuti” anche l’anno precedente e quello ancora prima, non se la bevve facilmente. Stimolato dal fatto che era ghiotto di quel frutto, architettò un piano per misurare l’onestà del mezzadro.  

    Qualche giorno dopo, lo fece tornare a casa sua. Quella sera, dopo averlo accolto in una stanza piena di libri, con la scusa di dover risolvere urgenti questioni, lo fece aspettare per un tempo che all'uomo sembrò interminabile. Nell’attesa, l’attenzione del mezzadro fu attratta da una vetrina chiusa a chiave, dentro la quale erano custoditi alcuni vecchi volumi con il dorso consunto. In particolare, il titolo di uno di questi, un libro di colore amaranto, gli ricordava qualcosa, ma non riusciva a capire cosa. Di certo, la lunga attesa e tutti quei libri lo misero un po’ in soggezione.  
    Mentre cercava di dare un senso a quel ricordo, una voce improvvisa lo fece trasalire.  
    «Dimmi un po’!» irruppe nella stanza il prete. «Ti farebbe piacere sapere chi si è fottuto i nostri fichi?»  
    «Reverendo…!? Come è vero che tutte le mattine spunta il sole! È la prima cosa che vorrei sapere», mentì il contadino, già in soggezione e agitato per la lunga attesa e per quell’irruzione a sorpresa, minuziosamente calcolata.  
    «Allora vieni domani sera prima della mezzanotte. Forse potrò aiutarti... Vedi quel libro dentro la vetrina? Quello con la copertina amaranto e con il dorso più logoro degli altri? Quello è il Libro del Cinquecento. In certe situazioni, se consultato allo scoccare della mezzanotte, nel settimo giorno del settimo mese dell’anno, potrebbe rivelarci la faccia del malandrino ghiottone di fichi non suoi. Sempre che… ti faccia piacere!»  
    «Certo… Certo… Domani sera…» balbettò l’uomo.  
    «Domani, provvidenzialmente, è il sette luglio», lo incalzò ancora il prete. «Capisci che fortuna…!?»  
Il contadino, con un’espressione tra il preoccupato e il sorpreso, fece un accenno di sì con il capo e, a testa bassa, salutò il parroco. Si rimise in testa il berretto, ridotto a straccio a furia di torcerlo con entrambe le mani come fosse un canovaccio da strizzare, e andò via.  

    Per tutta la notte, l’uomo ripensò a quel vecchio libro di color amaranto chiuso a chiave nella vetrina del mobile a casa del prete. Ricordò che fin da bambino gli avevano raccontato di quel misterioso libro del Cinquecento che, in particolari circostanze, poteva rivelare verità altrimenti celate ai comuni mortali. E finalmente lui lo aveva visto, anche se solo attraverso il vetro del mobile; anzi, aveva persino appoggiato la mano al vetro, quasi a volerlo toccare. In altre circostanze sarebbe stato ben felice di farne la conoscenza, ma a inquietargli il sonno, in quel caso, non era il libro in sé, bensì ciò che esso era in grado di rivelare. Durante la notte, nelle orecchie dell’uomo riecheggiarono gli ammonimenti di chi, negli anni, aveva tramandato la storia del libro del Cinquecento:  
    “Meglio non trovarsi mai al cospetto di un prete che tiene in mano quel libro!”  
    “Attenti…! Quel libro fa vedere la faccia del peccatore!”  
    “Quello è il libro della verità…!”  
    Probabilmente, per lui quel libro rappresentava il soprannaturale messo nelle mani del prete. Vedere la faccia del ladro di fichi evidentemente non gli dava affatto gioia, anzi lo inquietava. Purtroppo, non poteva dire al prete che avrebbe preferito sottrarsi a quella prova straordinaria e misteriosa.  

    L’indomani sera si recò all’appuntamento con qualche ora di anticipo e con in mano un cesto pieno di fichi della migliore qualità.  
    «Parrinu!» disse con falsa allegria, «Questi sono per voi... Sono andato a raccoglierli nel giardino di un mio carissimo amico che, quando ha sentito che erano per voi, mi ha detto di raccogliere solo i migliori…»  
    Dopo che il prete prese in mano il cesto, il mezzadro, con l’espressione di chi vuole risolvere pacificamente le questioni, consapevole che il libro sarebbe stato per lui come uno specchio, aggiunse:  
    «Reverendo! Le cose sovrumane lasciamole in pace. Non è il caso di disturbarle per un semplice piatto di fichi, anche se di buona qualità».  

    Dopo quell’accadimento, sulla tavola dell’astuto prete tornarono puntuali e nella giusta quantità le primizie del suo giardino, mentre per il contadino un altro frutto germogliava ogni anno nella pianta di fico: il Libro del Cinquecento, capace di svelare verità e risolvere problemi... senza nemmeno essere aperto.  

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