25 aprile, festa della Liberazione,
Un omaggio a Ferruccio Parri
... Dopo la visita a Mazzini Ettore salì per il vialetto che, abbarbicandosi
sulla collina, portava in una zona del cimitero chiamato Boschetto dei Mille,
per poi dirigersi dove si trovava una delle sue opere: la statua di Urania.
Lungo la salita dedicò un'altra breve ma doverosa sosta, nel Boschetto
Irregolare, alla tomba di Ferruccio Parri, “Nobilissimo patriota, protagonista
indomito della resistenza al fascismo” Così recita la lapide.
Ettore ammirava Parri perché divenuto, per il suo coraggio, il simbolo
dell'Avversione Morale verso la dittatura fascista.
Ferruccio Parri nel 1927 venne accusato dal Tribunale Repressivo, istituito dal
regime fascista, di aver organizzato e messo in atto, insieme a Carlo Rosselli
e Sandro Pertini, la fuga in Corsica di Filippo Turati.
Arrestato e processato per tale azione, tra un interrogatorio e l'altro, Parri
scrisse una lettera di spontanea confessione al giudice del Regime.
Tra i documenti che Ettore aveva nel cassetto, dai quali attingeva idee e
ispirazione, c'era una copia della lettera di Ferruccio Parri indirizzata al
giudice del Tribunale Repressivo. Quella lettera era l'espressione del pensiero
dei giovani antifascisti che, come Mazzini, sognavano la Repubblica e la
sognavano democratica.
“Le mie idee sono di altri mille giovani, generosi combattenti ieri, nemici
oggi, del traffico di benemerenze e del baccanale di retorica che
contrassegnano e colorano l'ora fascista. Indenni da responsabilità recenti,
intransigenti perché disinteressati, intransigenti verso il fascismo perché
intransigenti con la loro coscienza, sono questi giovani i più veri antagonisti
del regime, come quelli che hanno immacolato diritto di erigersene a giudici.
Ad essi il fascismo deve, e dovrà, rendere strettamente conto delle lacrime e
dell'odio di cui gronda la sua storia, dei beni morali devastati, della nazione
lacerata. Il regime li può colpire, perseguitare, disperdere, ma non potrà mai
aver ragione della loro opposizione, perché non si può estirpare un istinto
morale”.
Non si può estirpare un istinto morale. Erano le parole incisive e coraggiose
con le quali Ferruccio Parri, orgogliosamente, ribadiva la sua volontà e
responsabilità all'espatrio di Filippo Turati.
L'epoca nella quale viveva Ettore, sulla carta era una repubblica democratica;
fondata sull’opulenza per i benestanti, ma devastata nella moralità,
nell'uguaglianza dei diritti e nell'applicazione della giustizia per il resto
del popolo. Ettore Olmus non poteva fare a meno di pensare con sgomento che se
chi dirige un popolo si assopisce nel benessere materiale, la storia si ripete;
e si ripete più negli aspetti negativi che in quelli positivi...
Tratto dal romanzo L'OCCHIO DI URANIA
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