domenica 11 aprile 2021

AMMALARSI DI INFLUENCER

    Se volessimo elencare tutte le malattie che rendono difficoltosa la vita agli esseri umani ne uscirebbe un elenco lungo quanto un romanzo di Dumas o di Manzoni. E non è tutto, ci sono anche le malattie patologiche gravi. Malattie che non si limitano a rendere la vita difficile la fanno diventare problematica o addirittura drammatica, a volte anche insopportabile. Per avere informazioni utili su queste malattie possiamo avvalerci di medici, professori e scienziati qualificati che sanno indicarci se c’è un rimedio e cosa possiamo fare per curarle o alleviarle. Purtroppo, nell’era digitale, c’è un’altra malattia per la quale nessun medico può fare qualcosa. Tuttavia, possiamo beneficiare di altri consiglieri: centinaia di canali televisivi e radiofonici, giornali, cartelloni pubblicitari, persino nella buca delle lettere qualcuno ci ricorda di cosa potremmo aver bisogno per star bene. Per i più fortunati, dulcis in fundo, c’è anche chi si preoccupa di elargire disturbi al telefono a tutte le ore.
    Nella schiera di chi "manipola" la mente umana non possiamo tralasciare scrittori, giornalisti, preti, politici, cantanti, calciatori, un'infinità di figure, blogger compresi, che, grazie alla popolarità di cui godono, contribuiscono ad elargire consigli affinché corpo e mente di ognuno di noi siano sempre pronti a sapere dove rivolgersi per intervenire in caso di necessità. Non mi dilungo oltre, altrimenti questo scritto rischia di diventare soltanto un lungo elenco.
    Come si può notare “consiglieri disinteressati” ce ne sono tanti e tutti martellano sulle incertezze di chi ancora non ha una chiara visione di ciò che vuole, oppure non sa cosa gli serve e cosa è utile per il proprio benessere. Tutte queste figure, molte ingannevoli, per interesse o per vanità, ognuna nel proprio settore di appartenenza, lavora sulla nostra mente per “salvarci”. Siamo proprio fortunati, nel campo delle informazioni non ci manca più nulla. Credo! Oppure mi sbaglio e qualcosa in realtà ancora ci mancava? Sì, ci mancava! Ma grazie al cielo è arrivata. Ce l’ha regalata la rete internet. Nel web è nata una nuova figura senza la quale proprio non potevamo più vivere. Cura una malattia per la quale nessun medico è in grado di far qualcosa, si chiama influencer.

    Dato che generalmente amiamo inglesizzare parecchie parole, le prime volte che la sentii pronunciare, per colpa della mia scarsa preparazione nella lingua inglese, pensai si trattasse del virus dell’influenza e avevo la sensazione di poter essere infettato.
Effettivamente, stando al significato della parola, rischiavo l'influenza. Influence si traduce influenza, in medicina, malattia infettiva contagiosa. Mentre l’influencer è un influenzatore.
Ho dedotto che influencer è chi infetta la mente di qualcun’altro.
    Di cosa si occupa un influencer
l’ho capito. Quello che non ho capito è a che serve!
A quanti è già capitato di entrare in un negozio per comprare merce della cui necessità non era ancora del tutto certo? E sicuramente ci sarà stato il negoziante che ha cercato di sfruttare quella incertezza per influenzarci, nel suo interesse s’intende. Ma di questo tutti siamo consapevoli, perché a tutti è capitato di esserci portati a casa qualcosa che non era ciò che ci serviva. Dopo aver riflettuto a lungo, ci sono arrivato. L’influencer è un benefattore. Fornisce il colpo di grazia a chi è all’ultimo stadio di sopportazione di una grave malattia, l’indecisione, e aspettava questa figura, utilissima, che lo aiutasse a farla finita.
    Ora quello che mi chiedo è: quanto è conveniente e saggio seguire i suoi consigli, essendo consapevoli che un influencer ci vuole influenzare?
Eppure ci sono influenzatori che hanno milioni di seguaci che amano “infettarsi”.
Forse abbiamo confuso la figura dell’influenzatore con quella del motivatore, di cui la nostra società avrebbe molto bisogno.


domenica 14 marzo 2021

DUE MERLI RICICLATORI

 

In un articolo dal titolo “La civiltà della spazzatura” pubblicato su Terzo Pianeta, facevo un’analisi della quantità di rifiuti che produce la nostra società e della scarsa attenzione nel saperla differenziare per riciclare il riciclabile.

In quell'articolo, in cui facevo soprattutto riferimento al problema della plastica, raccontavo anche di un nido di merlo costruito non solo con pagliuzze, foglie, lana e piume, ma tristemente anche con striscioline di plastica.
Il nido di cui parlavo nell'articolo era dentro un Trachelospermum jasminoides (falso gelsomino) nel terrazzo di casa mia.

 

Durante il lockdown, a causa del coronavirus, eravamo chiusi in casa da parecchie settimane e non ricevevamo visite, nemmeno quelle dei nostri figli che, per non avere contatti, ci facevano la spesa, la mettevano in ascensore e noi la ritiravamo al piano.

Nel pomeriggio del giorno di Pasqua, con mio grande piacere, ricevemmo una gradita visita.
Due merli, credo gli stessi che l'anno prima avevano costruito il nido nel gelsomino, vennero sul terrazzo per un sopralluogo. Questa volta però non come costruttori ma come riutilizzatori.
Grazie al riflesso nel vetro che dall'esterno impediva loro di vedere me, da dietro la finestra li potei osservare senza spaventarli.

Uno dei due, penso il maschio, si era fermato sulla ringhiera del balcone e osservava la merla che con fare sbrigativo si dava da fare nel cercare di dare una risistemata al vecchio nido.
Ipotizzai che fosse la merla a sistemarlo, perché generalmente le femmine sono molto più attente di noi maschi nella cura della prole.

Subito pensai che volessero riciclarlo e ne fui felice; anche se questo voleva dire usare meno e con cautela il terrazzo per almeno tre settimane: giusto il tempo tra deporre le uova, covarle e svezzare i piccoli.

Chi conosce il canto dei merli sa che possono riprodurre diversi motivi. Ascoltarli attentamente dà la sensazione che discutano educatamente senza interrompersi l'un l'altra come spesso facciamo noi umani. Se qualcuno ha dubbi su quello che dico non deve fare altro che ascoltarli al mattino, soprattutto in primavera.
Rimasero impegnati in quell'attività di ispezione una decina di minuti "chiacchierando" allegramente. Intanto che lei sistemava il nido immaginai che lui, come capita spesso a noi maschietti, oltre ad osservare desse superflui consigli.   Poi la merla si spostò sulla ringhiera e il maschio fece anch'egli una breve ispezione al nido; infine tornò sulla ringhiera, fecero ancora un altro discorsetto e poi volarono via.

Per un po' di giorni aspettai e sperai che tornassero a utilizzare quel vecchio nido per la covata dell'anno anche se pensare a quei piccoli merli nella plastica mi disturbava, ma questo non successe.

Per non chiudere definitivamente con quella gradita visita, tenni vivo quell’accadimento cercando con un po' di fantasia di immaginare cosa si fossero detti il giorno dell'ispezione.
In quella allegra chiacchierata del giorno di Pasqua, mentre la femmina cercava di risistemare le pagliuzze avrà detto al compagno che quel nido non poteva andar bene per procreare. In effetti non so se fossero stati loro o un'altra coppia ad averlo costruito l’anno prima: posso solo immaginarlo. Di certo c’è che dopo la costruzione rimase inutilizzato.

«Ricicliamolo!» avrà detto il maschio, «Basta una piccola risistemata e avremo un nido già pronto senza dover trasportare molto materiale per costruirne uno nuovo».
«Lo vuoi capire che non faccio nascere i miei figli in questa porcheria di plastica!»
sicuramente ha risposto la merla con decisione.
«Quando l'abbiamo costruito»,
probabilmente insisteva il maschio, «i prati erano pieni di quella plastica e tu eri d'accordo a utilizzarla. Perché poi hai cambiato idea?»
«Perché!? perché da sempre i nostri avi hanno costruito il nido con materiali naturali. Questa modernità non mi piace affatto! Già l'anno scorso ti dissi che non andava bene stravolgere le buone tecniche.»

Rimasero in silenzio per un po' (cosa che avvenne realmente). Poi il maschio avrà cercato ancora di convincerla:
«Se gli umani si affannano a costruire tutto di plastica vuol dire che conviene! Ma se proprio non ti va… Togliamo la plastica e ricicliamo il resto. Comunque sarebbe fatica in meno…»
«E che ne facciamo della plastica?»
avrà chiesto la merla, «Non possiamo riportarla dove l’abbiamo presa e nemmeno possiamo lasciarla cadere nel terrazzo di queste persone che ci ospitano».
«La facciamo cadere in strada...»
avrà proposto lui.
«E bravo! Così facciamo rimproverare i padroni di questo terrazzo. Perché tutti i passanti penseranno che siano loro a buttarla giù».

Se volessi continuare con quella improbabile discussione della coppia di merli, potrei scriverci un romanzo, tanta è la mia avversione per l'uso smodato che facciamo della plastica: poca attenzione a ridurne l’uso, a non disseminarla ovunque, scarso impegno nel riciclarla e nel differenziare quella da smaltire.
Se i merli raccolgono striscioline di plastica nei prati e negli arbusti per usarla nei loro nidi, è perché c'è chi li dissemina ma purtroppo non c'è chi li raccoglie.

Questo non avviene solo nei boschi, capita anche nella manutenzione delle aree verdi nei centri abitati.
Ho osservato per molto tempo come avviene il taglio del l'erba nei giardini pubblici e ne ho ricavato l'impressione che spesso non si cura il prato ma la raccolta. Succede che dopo la falciatura, l’erba viene raccolta ma vengono lasciati nel prato, carte, lattine, plastica e quant'altro la macchina ha trinciato.

Contemporaneamente ho anche osservato chi fa la manutenzione degli alberi: dopo la potatura raccolgono rami rametti e fogliame e spazzano la superficie per lasciarla pulita. Non capisco perché questo sistema non si debba adottare anche per la “potatura” dell’erba.

Con un pizzico di malizia potrei pensare che l’interesse sia quello di raccogliere più erba possibile per farne composto e si lascia nel prato tutto il resto.

È lì che prevalentemente i poveri uccelli, inquinando i loro nidi, raccolgono quello che non dovrebbe essere tra l’erba.

sabato 30 gennaio 2021

IL PRINCIPIO DELLA CREAZIONE

 



"Continua a piantare i tuoi semi, perché non saprai mai
quali cresceranno, forse lo faranno tutti
."

(Albert Einstein)

 

 

 

 

Per la creazione di una sana civiltà non servono “salvatori”, perché ce ne vorrebbero tanti quanti sono gli abitanti della terra. Di certo c'è che ognuno cerca di salvare se stesso. Per una nuova Creazione fatta dagli umani servono seminatori e coltivatori.

Molte opere costruite dall'uomo affascinano l'umanità intera. Sono le grandi costruzioni materiali, antiche e recenti, opere che suscitano meraviglia per l'ingegno e la quantità di lavoro che è stata necessaria per realizzarle. Tra queste le piramidi di Giza, il Colosseo di Roma, la Grande Muraglia cinese, la Sagrada Familia di Barcellona e tante altre sparse in tutto il pianeta. Altrettanto grandi ma meno eclatanti sono i canali che uniscono oceani o mari, linee ferroviarie che attraversano interi continenti, gallerie e spettacolari ponti. Chiunque può notare l’esistenza di queste opere perché sono imponenti.
Difficilmente però ci si sofferma a pensare al fiume di sudore che è stato necessario per realizzarle. Sudore versato da migliaia di piccoli “coltivatori” che con il loro lavoro hanno fatto crescere l’opera portandola a compimento. Sono questi i veri artefici: coloro che hanno unito la loro piccola opera a quella di altri per costruirne una molto più grande.
E poi ci sono le opere create dalla natura, molte ancor più affascinanti di quelle costruite dall'uomo, visibili con un semplice sguardo: grotte, cascate, canyon, vette, panorami mozzafiato, barriere coralline e altro, nelle quali l’uomo può godere di queste bellezze senza aver messo nessuna goccia di sudore.

Altre  grandi "costruzioni", non facilmente visibili perché non eclatanti, sono le opere dei "creatori di civiltà". Non è possibile vederle con un semplice sguardo, come si fa con tutte le altre opere, ma è facile sentirle nel battito della vita. Sono la costruzione dei diritti inviolabili degli esseri umani, progetti creati da “seminatori” e “coltivatori” che hanno dato dignità alla vita stessa; altri, ancora in costruzione, fanno sperare in una più equa e pacifica convivenza dell’umanità.
Si tratta di un esercito di persone, invisibili all’occhio distratto delle masse abbagliate dal falso benessere, seminatori e coltivatori che, senza far chiasso, come gli apici delle radici di un albero cercano e procurano alimento alla pianta della società.
Queste opere, che potremmo definire lavoro della "creazione", nascono da anime nobili che quando escono di casa al mattino, oltre alle cose che devono fare per vivere la loro vita, hanno in mente anche un altro pensiero; o meglio, più che un pensiero, una missione: spargere i semi, per una civiltà più sana, nel terreno antropico che calpesteranno durante il loro cammino.
Non hanno un punto preciso o un tempo ideale dove mettere a dimora i loro semi e non servono studi, titoli, ricchezze e nemmeno targhe fuori dalla porta, consensi popolari o cariche onorifiche. Chiunque può farlo: serve soltanto avere una tasca immaginaria nello spirito e tenerla sempre piena di questi semi. È però necessario che quella "tasca", che al mattino è piena, la sera sia svuotata. Così le anime nobili costruiscono la loro grande opera invisibile all’occhio distratto.

Perché alcune persone, nonostante i problemi contingenti alla loro vita, fanno anche questo?
Forse per amore? Per altruismo? Per generosità o per vanità? Non si sa. Lo fanno e basta con un preciso principio: costruire una Civiltà.
È probabile che la maggior parte di questi seminatori siano consapevoli che molti di quei semi che spargono vadano persi senza neanche germogliare. E altri appena germogliati poi muoiono per mancanza di cure. Ma ce ne sono che avranno una loro vita. Inizialmente vivono di energia propria, come fa l’embrione di un pulcino dentro l’uovo. Poi c'è qualcuno, un coltivatore, che incontrando quell'inizio di civiltà pensa: “Oh guarda! Guarda! Credo che in quel germoglio ci sia qualcosa di buono. Sto pensando che, se lo curo, crescendo potrebbe contribuire a migliorare il mondo. Forse mi sbaglio e la mia opera non servirà a nulla, ma può anche darsi che qualcosa potrà fare. Voglio provare ad alimentarlo e curarlo, non si sa mai che anch'io possa fare la mia parte…”
Allora decide di adottarlo. Lo nutre per farlo crescere e, a sua volta, produrre dei semi che andranno a riempire la tasca di qualche altro seminatore che, quando al mattino esce di casa, non pensa soltanto a ciò che dovrà fare per vivere la sua vita, ma...

Questo articolo, in una versione ampliata, è su  "TERZO PIANETA"

giovedì 17 dicembre 2020

STATI UNITI PER IL PIANETA TERRA

Un titolo più appropriato per questo articolo sarebbe Stati Uniti D’Europa. La situazione attuale, che ha messo in crisi tutta l’umanità, mi ha opportunamente consigliato di dargliene un altro, più “grande”.

  Allunghiamo lo sguardo un po’ più in là, fino agli 

STATI UNITI PER IL PIANETA TERRA

Per combattere e annientare il virus serve lo spirito di una unione mondiale, quindi l’opera di tutti. Per giungere a questa azione è necessario volgere uno sguardo un po' più lontano e prendere spunto dal pensiero di qualche sognatore.

Nel 1855, nell’isola Guernsey sul canale della Manica, sbarcava un uomo esiliato da Napoleone III. Era stato esiliato perché le sue idee di democrazia, per la monarchia napoleonica, erano ritenute pericolose.
Nell’agosto 1849, allora presidente della Conferenza Internazionale sulla Pace tenutasi a Parigi, nella quale erano presenti belgi, italiani, americani, olandesi e inglesi, aveva fatto questo appassionato discorso “pericoloso”:

«Verrà un giorno in cui la guerra sembrerà così assurda fra Parigi e Londra, fra Pietroburgo e Berlino, fra Vienna e Torino da sembrare impossibile esattamente come, ai giorni nostri, lo sarebbe una guerra fra Rouen e Amiens, fra Boston e Philadelphia. Verrà un giorno in cui la Francia, tu Russia, tu Italia, tu Inghilterra, tu Germania, voi tutte, nazioni del continente, senza perdere le vostre qualità distinte e le vostre gloriose individualità, vi stringerete in un’unità superiore e costruirete la fratellanza europea, così come la Normandia, la Bretagna, la Borgogna, la Lorena, l’Alsazia e tutte le nostre province si sono fuse nella Francia. Verrà un giorno in cui non esisteranno più altri campi di battaglia se non i mercati, che si apriranno al commercio, e le menti, che si apriranno alle idee. Verrà un giorno in cui le pallottole e le granate saranno sostituite dal diritto di voto, dal suffragio universale dei popoli, dal tribunale arbitrale di un Senato grande e sovrano che sarà per l’Europa ciò che il Parlamento è per l’Inghilterra, la Dieta per la Germania, l’Assemblea legislativa per la Francia».

Il suo nome è Victor Hugo e parlava a nome della Francia per una Europa unita.
Sostenitore dell’abolizione della pena di morte, sensibile alla parità di genere e ai problemi sociali. Aveva immaginato per l’Europa le medesime leggi, la stessa moneta, gli stessi progressi nell’educazione, nell’istruzione e nel combattere la povertà. Pensando questo come prevenzione contro le guerre e i disordini sociali e giungere ad un progressivo disarmo di tutte le nazioni europee.
Durante il suo esilio in quell’isola piantò il seme di una quercia, scrivendo questa frase: “Quando questo seme sarà una quercia esisteranno gli Stati Uniti d’Europa”.
 
Quella quercia esiste veramente e, per fortuna, anche l’Unione Europea. Ci sarà ancora molto da fare per giungere agli Stati Uniti d’Europa che, come quello di Victor Hugo, era il sogno anche di   grandi anime italiane:  Mazzini, Garibaldi, Cattaneo, De Gasperi e altri nei giorni nostri.
 
Oggi dovremmo essere tutti dei sognatori come Hugo e Mazzini, per poter sperare che quest’unione mondiale contro il virus, con l’opera di ciascuno che evita il contagio verso sé e verso gli altri, possa avere la sua vittoria.